American Horror Story riapre i battenti con la terza stagione, Coven, e la nuova incarnazione del serial di Ryan Murphy e Brad Falchuk, ci trasporta a New Orleans, una delle città più magiche del mondo. La collaudata formula si rinnova con un taglio teen e decisamente più action, sebbene siamo fortunatamente distanti da uno stile alla Teen Wolf e Murphy riesca a mantenere l’inquietudine di fondo anche senza case infestate o manicomi, ma con la solita splendida regia.
È finita. Prendete questa affermazione con l’emozione che preferite, sia essa di gioia o tristezza Under the Dome è giunto finalmente al gran finale di questa deludente prima stagione. Exigent Circumstances e Curtains sono gli ultimi due episodi della prima serie, quelli che dovrebbero perpetrare l’interesse, risvegliarlo oppure ucciderlo definitivamente. La cosa curiosa e inaspettata, è che proprio Exigent risulti il miglior episodio della stagione, una puntata dove gli sceneggiatori sembrano riusciti in un intento a questo punto mitico: fare decentemente il loro lavoro.
All I need in this life is one, one thing to believe in, cantano i Sum 41 in Speak of the devil. Che con l’undicesimo episodio di Under the Dome, ha in comune due cose: lo stesso titolo e il bisogno di credere che le ultime puntate possano regalare una chiusura di stagione perlomeno dignitosa. Purtroppo tutto quello che nel corso di questa prima stagione ha minato un’esperienza altrimenti divertente, non ha mai smesso di essere presente in ogni episodio.
Let the games begin, che i giochi abbiano inizio. Una dichiarazione d’intenti notevole, da parte di un serial la cui unica particolarità, finora, è stata la noia. Alla decima puntata, in dirittura d’arrivo verso il finale di stagione, Under the Dome pigia sull’acceleratore grazie alla new entry Max, femme fatale e disturbatrice di ogni presunto equilibrio. È grazie a lei che dopo tutto questo tempo Dome si riscatterà e si dimostrerà degno parto della mente geniale del Re?
Si chiama Geekerz ed è stata presentata in anteprima al Roma Fiction Fest. Disponibile in rete (sul sito www.geekerz.it) dal 3 ottobre, ha come protagonisti attori professionisti e redattori della Multiplayer “reclutati” per una lotta all’ultimo sangue contro i morti viventi.
Lo spettatore accanito di Under the Dome è uno spettatore molto paziente. Attende con ansia che il serial proponga qualcosa di intelligente, originale, che davvero valga il tempo utilizzato per guardarlo e prosegue impavido nella visione. Ma, alla nona puntata, lo spettatore di Under the Dome è anche un illuso. In nove puntate, la serie è stata in grado di proporre solo ed esclusivamente tre cose: noia, stereotipi e forzature.
“I’ll let you in on a little secret. Women say a lot of things they don’t mean”. Quello che avete appena letto è un cliché. Uno degli elementi che caratterizzano al meglio Under the Dome. Dopo un paio di episodi che, pur con gli ormai soliti difetti, potevano far sperare per il meglio, la serie torna ad essere quello che è sempre stata: un noioso esempio di occasione sprecata.
Imperfect Circles è la settima puntata di Under the Dome. Dopo sette puntate uno si aspetterebbe che le ingenuità commesse nei primi episodi vengano corrette. Se non corrette perlomeno stemperate. Se nemmeno stemperate bisogna solo sperare che se ne siano accorti. Sette puntate, gli stessi identici problemi. La politica di Dome, però, a quanto pare non è “risolviamo quello che non va” bensì “cambiamo registro, magari non notano più cosa stiamo combinando”.
Sei episodi. Tanto ci ha messo Under the Dome a mostrare qualcosa di realmente decente. Certo, potrebbe essere un caso, ma la direzione presa dallo show parrebbe essere quella giusta: limitiamo storyline inutili e siparietti idioti e via alle interessanti implicazioni che crea una cupola gigantesca e indistruttibile sulla testa, dalla quale non si può fuggire. The Endless Thirst segna uno spartiacque, a metà stagione, fra le debolezze inaccettabili della prima parte e le debolezze quasi inaccettabili di questo inizio seconda.