Letherface è un’icona dell’horror moderno al pari di Freddy Krueger, Jason Vorhees e Michael Myers, e come i suoi soci, film dopo film, ha perso la forza e il carisma che aveva agli esordi diventando una macchietta del baubau che era.
Capolavoro. Classico. Cult. Tre C,come Chainsaw, tre tra i tanti aggettivi che sono stai usati, negli anni, per parlare di questo film, pellicola low budget targata 1974, girata nell’arco di un mese dall’allora trentenne Tobe Hooper, regista texano alle prese col suo secondo lungometraggio dopo “Eggshells”, del 1969.
Diavolo d’un Tobe Hooper! Ora, nel 2012, dopo tanti brutti horror te lo immagini rincoglionito sulla sedia a dondolo a guardare ebete i tramonti del Texas. Magari un fan si avvicina e gli fa una domanda su Letherface, il gigante con la motosega in mano del suo film più famoso, e lui pulendosi la bocca dalla bavetta risponde con frasi del tipo “Bello il sole eh?” o “La mamma non è ancora tornata”. Non puoi biasimarlo neh, anche alla mente più brillante sarebbe successo.
Il terzo atto della saga della sega segna l’uscita di scena del maestro Hooper, inizialmente intenzionato a metter mano al progetto ma successivamente costretto a dare forfait per realizzare l’horror paranormale I Figli Del Fuoco. Prima che Jeff Burr (regista dell’interessante Il villaggio delle streghe) venisse chiamato si erano già fatti il nome di registi del calibro di Peter Jackson al timone di comando.
Ecco la peggiore paura di ogni fan dl cinema, horror e non: un seguito cosi’ cattivo da spazzare in un lampo i crediti guadagnati dal prototipo e dai suoi figlioletti. E’ successo con Scream con un terzo capito micidialmente meta cinematografico, con Nightmare e Freddy Kruger pagliaccio a cavallo di una scopa, con un nuovo Venerdi’ 13 vestito da Enigmista, ed è successo, nell’anno del Signore 1994, a Non aprite quella porta.
Rimodernare un classicone come Non Aprite Quella Porta è sempre un grosso rischio: il linciaggio da parte dei fans è costantemente dietro l’angolo perchè se le sperimentazioni sono un’arrogante blasfemia, l’eccessiva fedeltà al predecessore suona come una calata di braghe. Forse non esiste modo di uscire totalmente indenni da una missione simile, ma se c’è, Marcus Nispel (Pathfinder, Venerdì 13) ci è andato vicinissimo.
Erano i lontani anni ’70 quando l’esordiente Tobe Hooper presentò al pubblico una creatura mostruosa e deforme, alienata e alienante, che presto, contro ogni aspettativa, sarebbe entrata a far parte dell’Olimpo dei cosiddetti “nuovi mostri”. Dopo tre sequel e un remake, anche Thomas Hewitt aveva bisogno di un prequel che ne spiegasse, in qualche modo, la sua nascita. E così, Hooper cede i diritti al regista in erba Jonathan Liebesman – che alle spalle aveva, soltanto, il poco riuscito Al calar delle tenebre – per raccontare in chiave moderna, la storia di Letherface.