Category: Slasher

La trovata carnevalesca ha la sola funzione di regalare un barlume pittoresco a una pellicola a dir poco banale.

E’ facile immaginare lo sceneggiatore in erba che si cimenta con il suo primo slasher. Allora pensa: cosa potrei fare per renderlo particolare e godibile, dopo 40 anni di idee rimasticate e sputacchiate? Salvo colpi di scena scarterà a priori la via dell’innovazione e della creatività imboccando contromano quella del collaudato schemino.

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Chillerama è una vera e propria antologia horror sulla scia di quel famoso Creepshow diretto da George A. Romero e sceneggiato dallo scrittore orrorifico  per eccellenza, Mr. Stephen King.

Quando quattro talentuosi registi di film horror si mettono in testa di realizzare un omaggio ai b movie del secolo scorso, c’è poco da fare.

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Psychotica nel futuro potrebbe assurgere il titolo di cult.

Psychotica è un film semplice semplice, prosegue per la sua strada senza grandi scossoni narrativi, tutto già visto e derivato certo, ma non disprezzabile. La storia mischia, con una certa dose di sciaguratezza, il filone tossici alla Trainspotting con quello demonienzombesco alla Rec (Zombiespotting per dirlo alla Cristiana Astori), anzi per essere precisi quello degli infetti che, da Incubo sulla città contaminata in avanti, ha confuso le certezze dei cultori del genere.

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Il primo capitolo di una saga infinita e discontinua: un film cardine nel genere slasher, la nascita di uno dei più popolari nuovi mostri: Jason Voorhees.

Film a suo modo atipico, nel filone degli slasher movies, questo primo capitolo della lunga saga di Venerdì 13, firmato da Sean S. Cunningham, già produttore del cult “L’Ultima Casa a Sinistra” (1972), di Wes Craven. Atipico, poiché segna la nascita di un “nuovo mostro”, senza mai mostrarlo. L’icona Jason Voorhees, infatti, si manifesterà, così come noi la conosciamo, monolitica nella sua maschera da hockey, solo dal terzo film, il sequel  “Venerdì 13: Weekend di Terrore”  (1982), per la regia di Steve Miner (qui nelle vesti di produttore associato) .

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La parte due è significativa: introduce il Jason adulto e spinge verso l’infinito il meccanismo del film precedente.

L’atto secondo di Venerdì 13 sancisce il passaggio di consegne da mamma Pamela al figliol prodigo Jason. Le psicosi della famiglia Voorhees continuano a funestare Camp Crystal Lake e dintorni, ora per mano dell’imponente e ritardato Jason annegato anni addietro nel lago causa negligenza dei sorveglianti.

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Davanti all’opportunità di indossare una maschera vera, Jason Voorhees trova finalmente la sua vera pelle, l’anello mancante, il trait d’union della sua personalità scissa.

Dopo l’accusa di essere soltanto “una brutta copia del Michael Myers carpenteriano”, Jason Voorhees trova, definitivamente, la sua vera identità. Il protagonista della saga di Venerdì 13, infatti, era un omaccione deforme e ripugnante, uno scimmione rabbioso, caratterizzato “soltanto” da una camminata goffa tipica dei morti viventi. Almeno fino a questo momento. Steve Miner, nuovamente in cabina di regia, dirigendo Venerdì 13: Weekend di terrore, infatti, trova il giusto escamotage per regalare al villain il suo agognato emblema, il suo tratto distintivo, lo stendardo dell’intera saga.

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E’ in grado di distinguersi rispetto agli altri sequel e la trovata finale per la sconfitta di Jason Voohrees è molto accattivante…

Venerdì 13, capitolo finale uscì nel 1984, due anni dopo Venerdì 13, week end di terrore, e naturalmente non fu davvero il capitolo finale. L’intento di offrire una vera conclusione si avverte, e all’inizio della pellicola si trova anche un grazioso riassuntino delle puntate precedenti che sembra mettere le basi per la quadratura definitiva del cerchio;ma le contingenze (e in primis, più che altro, il mostruoso successo al botteghino che portò nelle tasche della produzione più di 30 milioni di dollari) spinsero la fortunata nave in direzione del  proseguimento della saga, e così il “capitolo finale”, a conti fatti, è collocato nemmeno a metà della produzione complessiva dedicata al persecutore di Crystal Lake. 

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Jason vive, ma nessuno di quelli che lo incontra avrà la medesima fortuna.

Il sesto film della serie che segue le traccie insanguinate lasciate da Jason Voorhees, risulta nel mio immaginario indissolubilmente legato all’album “Constrictor” di Alice Cooper, che rappresenta il ritorno sulle scene del teatrale artista di Detroit, dopo il suo ritiro nel 1983, dopo il mediocre album “Dada”.

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In questo capitolo é l’ingombrante personaggio cucito dagli sceneggiatori addosso all’attrice texana a spaccare in quattro lo schema classicissimo di Venerdì 13.

Jason è momentaneamente neutralizzato, lasciato a galleggiare pigramente sul fondo del Crystal Lake, incatenato a un enorme masso nell’epilogo di una delle sue precedenti scorribande.

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Film rozzo e noioso, anonimo capitolo di una saga stanca e che ha iniziato a mostrare evidenti segni di cedimento almeno dal quinto capitolo. A esser generosi.

Un gruppo di studenti festeggia il diploma partendo alla volta di New York su un assai improbabile peschereccio (spacciato goffamente per nave da crociera). Nessuno di loro si accorge però che, come le cozze alla chiglia di una nave, il redivivo Jason Voorhees, emergendo dalle acque e afferrando una delle funi dell’imbarcazione, è salito nottetempo a bordo e si è unito alla gioviale compagnia al fine di dare seguito alla solita, prevedibile mattanza.

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