Nelle sale, In nomine satan (2014) di Emanuele Cerman: un eccellente e doloroso dramma/thriller ispirato al caso delle “Bestie di Satana”
Era da quando vidi per la prima volta Morituris di Raffaele Picchio, durante una rassegna cinematografica milanese, che non mi capitava di assistere a un’opera così potente e dolorosa come In nomine satan (2014) di Emanuele Cerman (Emanuele Cerquiglini). Due film molto diversi, anzi opposti per certi versi, e che nonostante ciò non posso esimermi dall’associare per la rappresentazione cruda e angosciante della violenza e per lo squarcio che offrono sul Male universale. Cerman, che esordisce alla regia dopo varie e convincenti prove attoriali negli horror di Ivan Zuccon, si ispira alla terribile vicenda delle “Bestie di Satana” per mettere in scena un film veramente unico dove il dramma si mescola alla crime-story, al thriller all’horror senza soluzione di continuità. Nonostante le numerose difficoltà produttive insite in ogni opera indipendente, Cerman è riuscito a realizzare con maestria e portare nelle sale un film destinato a far discutere, e che finora ha riscosso pareri positivi aggiudicandosi (meritatamente) vari premi.
Scritto dal regista insieme a Stefano Calvagna, In nomine satan modifica naturalmente i nomi reali e lascia volutamente indefinita la provincia dove si svolgono i macabri avvenimenti (Varese, nella realtà), conservando però una descrizione fedele dei fatti. La vicenda ha inizio con il ritrovamento di due tossicodipendenti macchiati di sangue e su un’auto rubata: due agenti dell’antidroga collegano la coppia alla scomparsa di una ragazza, di cui l’uomo confessa l’omicidio. Le indagini sono affidate al magistrato Roberto Pozzo (Stefano Calvagna), il quale – dopo aver rinvenuto nella casa del delitto vari oggetti satanici – comincia a credere che il misfatto nasconda una realtà ancora più vasta e inquietante. A supporto della sua tesi intervengono i genitori di due ragazzi precedentemente scomparsi, che denunciano la presenza di una setta in cui i figli erano stati coinvolti. Grazie a ulteriori indagini, si risale al capo della folle organizzazione e viene scoperta una realtà devastante fatta di riti satanici, omicidi e suicidi indotti.
In nomine satan non è un horror puro, nonostante contenga sequenze ascrivibili al genere, eppure è capace di creare una realistica angoscia che supera i mostri della fantasia: perché qui l’orrore è terribilmente reale e doloroso, è l’orrore di vite distrutte, menti malate, realtà apparentemente impensabili che si rivelano più vicine a noi del previsto. Naturalmente, Cerman non si limita a trasporre nella fiction i tragici eventi della realtà – e anche questo è uno dei punti di forza del film – ma costruisce una serie di personaggi, tutti realistici e credibili, che danno vita a una sotto-trama legata al tema principale: il Male. Il film non presenta scene splatter (vediamo solo la foto della ragazza uccisa e un rivolo di sangue sul braccio), ma la violenza, la brutalità e la follia sono presenti davvero in ogni scena come un urlo disperato: ricordiamo i flashback nella lurida abitazione dove si è consumato il delitto, fra droga e simboli satanici; la dolorosissima scena del suicidio indotto, che si consuma nel bagno di un fatiscente edificio tramite il taglio delle vene; il duplice omicidio dei due “traditori”, compiuto con un’efferatezza lancinante senza che però si veda una sola goccia di sangue. Ma la crudezza sta anche nella disperazione dei genitori, nelle vite perdute dei carnefici e nell’angoscia delle vittime: In nomine satan è un pugno nello stomaco che non si dimentica.
L’opera di Cerman possiede un grande valore sia narrativo che estetico. Dal punto di vista narrativo, assistiamo a un continuo alternarsi di scene al presente (le indagini di polizia e magistrati) e flashback, riconducibili ai ricordi dei personaggi oppure inseriti dal “narratore esterno” come elementi apparentemente casuali ma che finiscono per ricomporre un preciso mosaico (ottimo lavoro di montaggio curato dallo stesso regista). Quindi, flashback sugli omicidi, su come le vittime sono entrate in contatto con la setta, sulle cerimonie sataniche, sulle indagini dei genitori. Al contempo, la differenza fra i piani narrativi è sottolineata da un diverso utilizzo della fotografia (autentico valore aggiunto del film), diretta da Dario Di Mella e in grado di passare dai colori “naturali” del presente a un’immagine quasi virato seppia dei fatti antecedenti fino ai colori “acidi” delle sequenze allucinatorie e demoniache. In nomine satan contiene infatti varie scene che virano decisamente sull’horror, evidenziate da una fotografia in cui predominano colori accesi e iperrealistici (il rosso in particolare), in stile quasi argentiano potremmo dire. Ecco quindi i macabri riti satanici, con maschere, fumi, oggetti esoterici e inquietanti musiche di sottofondo; e anche le sequenze oniriche in cui è protagonista il diavolo in persona, che appare in sogno al magistrato Pozzo insieme a due donne mascherate per dirgli che il Male è più vicino di quanto possiamo pensare. E proprio questa è un’altra peculiarità del film: una sorta di nichilismo assoluto, in cui non è possibile distinguere nettamente il bene dal male, e l’orrore che vediamo di fuori può penetrare anche nelle nostre case. Ecco tornare la sotto-trama di cui si parlava prima, che lega Pozzo e la sua famiglia all’agente Serra, e che sfocia in un finale più che mai aperto e inquietante. Singolare è anche la prospettiva con cui Cerman affronta un tema così delicato: se da un lato racconta la storia con un piglio in certi momenti quasi documentaristico, dall’altro (attraverso il confronto finale col capo della setta) evidenzia il “cuore di tenebra” della nostra società, responsabile dei “mostri” che produce.
Nonostante sia un’opera prima, la regia è assolutamente matura, sotto ogni punto di vista: tecnico (con l’alternarsi di macchina a mano e inquadrature fisse), narrativo (con il fluente passaggio dei vari piani temporali) e stilistico. Sulla fotografia si è già detto, ed è doveroso aggiungere come l’immagine sia squisitamente cinematografica, pur se girato in digitale; ma ci sono anche varie sottigliezze registiche che si possono cogliere – una su tutte, l’ombra del diavolo che si proietta durante l’interrogatorio di Matteo Corione, il leader della setta. Molto curate anche le location, soprattutto il fatiscente casermone abbandonato (che fa molto underground “anni Ottanta), che con la sua aria minacciosa incrementata dai macabri murales fa quasi da “anticamera dell’inferno”. Decisamente efficaci anche gli interpreti: in primis, Stefano Calvagna (regista e attore di noir come Il lupo, L’ultimo ultras e Cronache di un assurdo normale, nonché regista del thriller MultipleX), qui un convincente magistrato di cui viene messo in particolare risalto il lato professionale e umano; lo stesso Cerman conferma le sue doti recitative nel ruolo dell’agente Serra; oltre a vari attori poco conosciuti ma che si immedesimano carnalmente nei personaggi, merita una menzione Fabiano Lioi (Museum of wonders, Eaters) nei panni di un diavolo decisamente anti-convenzionale nell’estetica. Completano il tutto le musiche vibranti e psichedeliche di Eleonora Esposto, con l’inserimento di un brano metal dei No more fear.
About Davide Comotti
Davide Comotti. Bergamasco, classe 1985, dimostra interesse per il cinema fin da piccolo. Nel 2004, si iscrive al corso di laurea in Scienze Umanistiche dell’Università degli Studi di Bergamo (laurea che conseguirà nel 2008): durante gli studi universitari, ha modo di approfondire la sua passione tramite esami di storia, critica e tecniche del cinema e laboratori di critica e regia cinematografica.
Diventa cultore sia del cinema d’autore (Antonioni, Visconti, Damiani, Herzog), sia soprattutto del cinema di genere italiano (Fulci, Corbucci, Di Leo, Lenzi, Sollima, solo per citare i principali) e del cinema indipendente di Roger A. Fratter.
Appassionato e studioso di film horror, thriller, polizieschi e western (soprattutto italiani), si occupa inoltre dell’analisi di film rari e di problemi legati alla tradizione e alle differenti versioni di tali film.
Nel 2010, ha collaborato alla nona edizione del Festival Internazionale del Cinema d’Arte di Bergamo.
Scrive su "La Rivista Eterea" (larivistaeterea.wordpress.com), ciaocinema.it, lascatoladelleidee.it. Ha curato la rubrica cinematografica della rivista Bergamo Up e del sito di Bergamo Magazine. Ha scritto inoltre alcuni articoli sui siti sognihorror.com e nocturno.it.
Ha scritto due libri: Un regista amico dei filmakers. Il cinema e le donne di Roger A. Fratter (edizioni Il Foglio Letterario) e, insieme a Vittorio Salerno, Professione regista e scrittore (edizioni BookSprint).
Contatto: davidecomotti85@gmail.com
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