Come non si gira il remake di un horror.
La giovane Janet trova un appartamento per staccarsi dalla sua famiglia, soprattutto una madre violenta e alcolizzata. La ragazza è entusiasta della casa nuova, l’appartamento 1303, ma ben presto i vicini inquietanti e una strana figura dietro la porta della camera da letto le faranno ripensare alle sue scelte di vita . La sua improvvisa morte spingerà la sorella ad investigare su una casa che sembra uccidere i suoi inquilini con una certa facilità.
Anni fa impazzavano gli horror giapponesi a base di bambine dai capelli lunghi davanti agli occhi. The grudge o The ring erano stati i primi vagiti di una vera invasione di titoli horror venuti dall’Oriente, un nuovo modo di concepire l’orrore, diverso dai soliti slasher. Il J horror infatti non cedeva mai in inutili frattaglie buttate in faccia allo spettatore, ma cercava una tensione più sottile, tra cellulari maledetti e maledizioni a scadenza settimanale, qualcosa che i cugini del Sol Levante probabilmente erano abituati, ma noi occidentali no. Il successo fu incredibile, e il passo verso il remake a stelle e strisce era inevitabile: questi film d’altronde erano miniere di soldi, ma ancora qualcosa di sottilmente razzista frenava molti spettatori, l’andare al cinema per vedere un film con attori giapponesi, una cosa che i divi di Hollywood avrebbero risolto. Solo che non fu la stessa cosa.
Non che nei rifacimenti non ci fossero perle, ma anche, e soprattutto, film indecenti, poveri e sciacalli nel cercare di portare al cinema più gente violentando e sventrando il modello originale.
D’altronde come tutte le mode anche questa si stava scemando a poco a poco, ormai anche a raccontarli questi film non facevano più paura, stavano arrivando i vampiri efebici di Twillight, altro giro altra coda, così che Sadako e Samara furono lasciate presto a marcire sul fondo del pozzo, con tutta l’acqua salmastra, i 7 giorni e gli spiriti che fanno festa. Questo 1303 arriva fuori tempo massimo: remake di un horror giapponese già brutto per cavoli suoi, esce al cinema nel disinteresse generale, forte solo di un trailer che promette brividi mai percepiti. Ecco che invece 1303, con o senza il suo 3d, è qualcosa di così incredibilmente malfatto da lasciare basiti, qualcosa di così dilettantesco da lasciarti attonito e ripensare ai tuoi concetti di spazzatura cinematografica. Michael Taverna è uno di quei registi che dovrebbero essere interdetti dal girare, presi per l’orecchio e trascinati fuori dal set. Non un’inquadratura che sia decente, non un gusto dell’immagine che salvi capre e cavoli, no, Taverna sbaglia i raccordi delle inquadrature, confonde giorno e notte, non ha il gusto abbastanza fine per fare paura e butta tutto sul terrore caciottaro dei suoni alti e dei bubusettete cretini. Fortuna che dura solo un’ora e 18 questo strazio, ma è raro davvero che al cinema arrivino schifezze di una tale portata, una maleducazione così violenta verso il pubblico pagante da non avere paragone, forse.
Certo è che più volte si ha la sensazione di stare assistendo ad uno Scary movie, soprattutto quando gli attori fingono un amplesso, mimano il sesso più feroce che esista, tutto sudore e penetrazioni contro il muro, ma non si accorgono che il regista li ha inquadrati troppo in basso e hanno ancora i pantaloni e le mutandine che due secondi fa sembrava avessero tolto. In questo disastro vengono coinvolti abituè del film becero come la Misha Barton di OC e di centinaia di produzioni fallimentari destinate i primis al mercato russo, ma soprattutto la Rebecca DeMornay di tanti sogni bagnati anni 80, da Coppola agli erotici con Banderas, qui in versione mamma alcolizzata. Il resto del cast spazia da anonimi Big Jim a bambolotte rifatte, la fiera del muscolo e della passera di gomma, buono per un porno con Jenna Jameson contro i cazzi dei pirati, meno per un horror di atmosfera. Apartament 1303 distrugge e banalizza anche il suo debole modello, l’Apartament 1303 di Ataru Oikawa, spurgando le parti più belle ed esasperando i momenti più grotteschi, riuscendo nel non facile compito di essere uno dei peggiori prodotti horror di questo secolo nascente, con l’aggravante di effetti speciali così brutti da non crederci.
About Andrea Lanza
Si fanno molte ipotesi sulla sua genesi, tutte comunque deliranti. Quel che è certo è che ama l’horror e vive di horror, anche se molte volte ad affascinarlo sono le produzioni più becere. “Esteta del miserabile cinematografico” si autodefinisce, ma la realtà è che è sensibile a tette e sangue.