Sorpresa: un horror intelligente e davvero spaventoso.
Kaylie e Tim Russell sono due fratelli rimasti colpiti dall’aver assistito da bambini alla straziante odissea dei genitori, spinti prima verso la follia e poi all’omicidio. Riunitisi da adulti dopo molto tempo, i due sono convinti che a generare gli eventi del passato sua stata un’entità soprannaturale e convergono i loro sforzi per distruggere ciò che credono il vero responsabile: un leggendario specchio posseduto una volta dalla loro famiglia.
In principio c’era Oculus chapter 3: the man with the Plan, un corto girato con poco più di 2000 dollari dal regista indie Mike Flanagan nel 2006. Quel piccolo film, spaventoso e inquietante, fece vincere al suo autore diversi premi nel settore, ma soprattutto gli conferì buona fama tra gli appassionati. Con il successivo Absentia, questa volta un lungometraggio dal budget di 70000 dollari, racimolati la maggior parte grazie al sito kickstarted, fu evidente, a pubblico e produttori, che Flanagan era un talento da coccolare e da dare in pasto, non solo alle arene da festival, ma al pubblico dei multisala.
Perciò grazie alla piccola ma tosta Intrepid Pitcures, che in passato aveva già creduto nell’horror con prodotti come The Strangers, Oculus il corto si è ingigantito fino a diventare un film di un’ora e 45. Alla base c’è la stessa storia, là un uomo che cerca di provare la natura malvagia di uno specchio, qui due fratelli mossi dalle stesse intenzioni, a cambiare è il budget messo in mano al regista che riesce a fare la differenza. Non si parla ovviamente di cifre hollywoodiane, il film senza effetti speciali all’avanguardia è lì a testimoniarlo, ma è una bravura artiginale del suo autore, alla Mario Bava per intenderci, a non farci mai sentire un’aria pauperistica da film indipendente. Si potrebbe persino azzardare che Oculus sia uno dei film più terrorizzanti non solo della stagione, ma proprio degli ultimi anni, figlio di un certo tipo di suspence nipponica è vero, un po’ alla The grudge, ma capace di essere qualcosa di mai visto prima, almeno concettualmente, un’opera fresca e genuina come da tempo non se ne vedeva, e che probabilmente non ci aspettavamo di vedere ancora. Sia dato atto poi a Mike Flanagan di non essersi fatto sedurre dalla mania del mockumentary che la storia comunque poteva accogliere, con l’uso di telecamere a documentare gli eventi, ma di avere confezionato un film horror vecchio stampo, forse antitetico ai gusti delle platee rutti e risate dei multisala, ma assolutamente efficace.
Le influenze dell’opera sono soprattutto letterarie, a livello epidermico, e spaziano dal Lovecraft di Dreams in the Witch-House allo Stephen King di The Boogeyman, con un uso dello spazio e del tempo innovativo e assolutamente geniale nel disegno di far conciliare la creatività con il piccolo budget. In Oculus infatti passato e presente si fondono insieme, con i personaggi bambini a incrociare le azioni dei loro corrispettivi futuri, senza l’uso/abuso di flashback e flashfoward, una tecnica adottata in ambito diverso dal Bergman de Il posto delle fragole, e qui talmente spiazzante e riuscita da far percepire, anche agli spettatori, la stessa aria di spaesamento vissuta dai protagonisti del film. Oculus quindi diventa un’esperienza quasi interattiva, senza bisogno del fastidioso 3d, che riesce a far vivere sulla pelle di chi guarda una sensazione di paura e tensione, capace di mettere a dura prova persino la smargiasseria del fruitore di horror “ho visto tutto io”. I momenti shock sono ben assestati e si denota in Flanagan una certa propensione nella distruzione della carne, con i corpi dei personaggi che si trasformano, perdono le unghie, i denti, mangiano distrattamente lampadine al posto di mele per vomitare, come in un classico fulciano, sangue e pezzi di lingua. Più che in Cronenberg o in Barker, il modello va ancora cercato in campo letterario più che cinematografico, ancora in Lovecraft e nel suo classico Il colore venuto dallo spazio, dove il regista/sceneggiatore prende da lì anche l’idea delle piante che marciscono e della moglie rinchiusa, impazzita e “cambiata”, in una stanza della casa.
Sul piano cinematografico l’influenza maggiore è senza dubbio quella dello Shining di Kubrick, anche se siamo ancora sul doppio filo letterario, con un pater familias che sbrocca e cerca di
sterminare la propria famiglia, ma ogni elemento eterogeneo presentato all’interno del film è masticato e digerito in maniera talmente originale da essere soltanto un umore. Il film è strepitoso anche sul piano fotografico, e qui è da lodare il lavoro di Michael Fimognari, capace di rendere inquietante ogni area, ristretta, dell’abitazione/location. Gli attori, dai meno noti ai più noti, tra i quali la Karen Gillan del Dottor Who e la Katee Sackhoff di Battlestar Galattica, nella finzione figlia e madre, sono ottimi e riescono a conferire ad Oculus una professionalità recitativa che manca purtroppo a tanti prodotti horror. Basterebbe comunque, per rendere Oculus un’opera del terrore inquietante, già il suo vero protagonista, uno specchio nero, come la favola di Biancaneve, ingordo di vite ed energia, e che mai sapremo il perchè uccide. Cosa c’è di più terrorizzante di questo?
About Andrea Lanza
Si fanno molte ipotesi sulla sua genesi, tutte comunque deliranti. Quel che è certo è che ama l’horror e vive di horror, anche se molte volte ad affascinarlo sono le produzioni più becere. “Esteta del miserabile cinematografico” si autodefinisce, ma la realtà è che è sensibile a tette e sangue.
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apr 26, 2014Posted By
KairusSalve a tt, il film l’ho visto e mi dispiace dire che a parte qualche scena ben riuscita non mi ha colpito più di tanto. Il finale poi si intuisce abbastanza facilmente.