Tibor Takács torna sul grande schermo con il suo nuovo suicidio artistico.
Pessimismo e fastidio. Potrei scrivere solo questo di Spiders 3D continuando esterrefatto a non capacitarmi di come simili termini possano venire accostati ad un film con ragni giganti che invadono New York. Soprattutto se il film in questione non è stato prodotto dalle fervide, insolenti e divertite menti di Asylum o SyFi. Ma forse questa è la prova che non serve essere al soldo di chi ama la fantascienza facile e miserabile per creare qualcosa che sulla carta è puro divertimento scacciapensieri, mentre in realtà si rivela lo scialbo e fin troppo serioso spettro di un cinema che non è più. Certo è che se da The Gate e Sola in quella casa si passa a Sabrina, vita da strega qualcosa, nella carriera di Tibor Takács, dev’essere andato dannatamente storto.
La Russia recupera dai ghiacci DNA alieno e compie esperimenti per riuscire a trovare una creatura terrestre alla quale unirlo. Scopre nei ragni una forma di vita perfetta, ma l’esperimento finisce fuori controllo e i ragni mutati precipitano nella metropolitana di New York, dove cominciano a nidificare, mangiare e ingigantirsi. L’esercito americano, desideroso di mettere le mani sulla super tela prodotta dagli aracnidi, mette in quarantena il quartiere e copre come può la notizia, ma Jason (Patrick Muldoon), coordinatore dei trasporti pubblici, riesce a scoprire la situazione e quando questa sfuggirà di mano ai militari, toccherà a lui improvvisarsi eroe per salvare la figlia e la ex moglie dai ragni e dalla loro gigantesca regina.
Insomma, credo sia palese che non è certo la trama di un film del Dogma 95, ma poco importa. Un film così è matematicamente impossibile da sbagliare, perché basta attenersi al titolo. Spiders significa Ragni, quindi è tutto qui quello che la gente vuole e si aspetta di vedere. Ragni. Tanti ragni. Possibilmente giganteschi e divoratori di qualsiasi cosa si muove davanti ai loro numerosi ocelli. E come si fa a sbagliarlo? Così: per quasi quarantacinque minuti non si vedono che un paio di minuscoli aracnidi, mentre per il resto del film, ragni grandi quanto un’auto vengono mostrati poco e ogni uccisione che compiono è off-screen. Persino la regina, un mostro alto come Godzilla, compare dopo un’ora di supplizio e riesce a non fare niente, se non uccidere una malcapitata senza particolare pathos narrativo. Quando in un film basato su ragni mutati sono proprio i ragni ad annoiare, qualcosa è stato seriamente calcolato male. Il budget di Spiders non era molto elevato e lo si nota non solo per la povertà delle location, ma anche per la mediocre qualità della CG che però risulta ugualmente accettabile. Dopotutto, in un mondo in cui esiste la computer grafica dell’Asylum, anche la Pimpa risulta accettabile. Lo stesso Takács non è un mestierante alle prime armi, la sua regia è buona, la composizione delle scene è dinamica, ma nonostante tutto quel poco di buono presente, questo resta un altro suicidio artistico. E forse è chiaro perché dopo Sabrina, vita da strega, Tibor sia sparito dedicandosi a film per la TV.
Insieme a lui, Joseph Farrugia e Dustin Warburton firmano una sceneggiatura puntellata sui cliché del genere, che senza colpo ferire si affossa in totale autonomia, mancando tutti i seppur buoni propositi insisti in un simile plot. E questo esula dal budget, purtroppo è solo carenza di idee, quelle meravigliose muse che permettono ad un artista di creare, anche con poco, qualcosa di memorabile o che semplicemente diverte, muse che anche Tibor possiede, ma che devono essere rimaste invariate dal 2007, anno del suo Ice Spiders, film per la TV in cui Patrick Muldoon affronta ragni geneticamente modificati, con il DNA trovato in un fossile, fuggiti da un laboratorio militare in cui venivano cresciuti per poter sfruttare la loro rivoluzionaria tela. Pare indubbio che il regista ungherese abbia un debole per Muldoon, ragni modificati e complotti militari, ma spesso uno sforzo di fantasia in più regala risultati inaspettati. Niente sesso, niente splatter, niente sangue. Niente suspense, niente pathos, niente emozioni. Cosa resta oltre la banalità della messa in opera, la recitazione mediocre e un omaggio, forse, ad Aliens? I ragni? William Hope che interpreta nuovamente un militare stronzo? Christa Cambpell curiosamente vestita? O forse la sensazione di essere presi in giro con quello che avrebbe dovuto essere un colpo sicuro?
Alla fine è tutto qui, nella sicurezza che i monster movie danno a registi riesumati e produttori furbi, perché mostri giganti che attaccano le città sono capaci di richiamare più spettatori di quanto si possa pensare. Cinema popolare, puro e semplice, e quindi vincente. Che si tratti di un masochistico piacere nel risvegliare paure ataviche che possono venire sconfitte o un sadico ed inconfessabile desiderio di distruzione, la verità è che i monster movie piacciono. E ciò è vero da Tarantola (1955) di Jack Arnold a Cloverfield (2008) di Abrams. Non per questo, però, cari registi, dovete continuare a considerare gli spettatori degli stupidi automi senza cervello. Perlomeno, non tutti.
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