Bruno Mattei e Claudio Fragasso dirigono Rats – Notte di terrore (1984), un horror d’exploitation che fonde in maniera geniale post-atomico, animali assassini e gore
La coppia Bruno Mattei – Claudio Fragasso, dopo Virus e L’altro inferno, dirige nel 1984 un nuovo horror, Rats – Notte di terrore: completamente diverso dai precedenti, mescola il gore con il post-atomico in una maniera folle e geniale come solo in quegli anni si poteva fare. Rats, più ancora dei due precedenti, è infatti un horror squisitamente eighties. Su imitazione dei modelli americani in stile 1997: Fuga da New York, in Italia avviene il boom del genere post-atomico, cioè quei film d’azione ambientati in un futuro apocalittico su una Terra devastata dalle guerre nucleari (pensiamo ai Nuovi barbari di Castellari, per esempio). Mattei e Fragasso si inseriscono nel filone in maniera del tutto originale, creando una storia fantascientifica contaminata con il genere “animali assassini” e ricca di elementi horror. Come regista è accreditato Vincent Dawn (pseudonimo di Bruno Mattei).
L’idea di Rats, stando alle parole di Mattei, gli venne pensando a una sorta di trasposizione in chiave post-atomica e animalesca degli zombi di Romero. Centrale, nel film, è infatti il tema dell’assedio di un gruppo di persone da parte di un nemico – un famelico esercito di topi. Qualche secolo dopo la catastrofe nucleare, la nuova umanità si divide fra gli abitanti del sottosuolo e i nuovi primitivi che vivono in superficie. Un gruppo di questi “primitivi”, sette uomini e quattro donne guidati da Kurt (Ottaviano Dell’Acqua), viaggiano in un arido deserto fino a raggiungere i resti di una fatiscente città. Dopo aver trovato alcuni cadaveri decomposti e i casermoni invasi dai topi, capiscono che una minaccia incombe su di loro. Centinaia di famelici ratti, affamati di carne umana, iniziano ad assalire i malcapitati uccidendoli e cibandosi di loro. Mentre nascono anche tensioni interne al gruppo, i superstiti si barricano all’interno di un edificio per difendersi dalla terribile invasione. Solo due si salvano, grazie all’intervento di alcuni uomini provenienti dal sottosuolo che uccidono i ratti col gas, ma si trovano di fronte a una realtà ancora più mostruosa: sotto la maschera, i misteriosi individui si rivelano essere degli orribili uomini-topo.
Così come Virus era frutto di una co-produzione fra Italia e Spagna, anche Rats si avvale di una partecipazione straniera – questa volta la Francia. Nel cast sono presenti infatti vari attori francesi e tedeschi, oltre ad alcuni italiani come i celebri Ottaviano Dell’Acqua e Massimo Vanni (accreditati, rispettivamente, con gli pseudonimi di Richard Raymond e Alex McBride). Una cosa che colpisce è l’assenza di attori protagonisti veri e propri: Dell’Acqua e Vanni sono infatti due ottimi caratteristi, stuntman e maestri d’armi (notevoli le loro partecipazioni nei polizieschi e action-movie nostrani), ma non hanno quasi mai interpretato ruoli primari. Qui invece, forse per il budget ristretto con cui il film è stato realizzato, vengono scelti come protagonisti, e se la cavano decisamente bene. Pienamente a loro agio nei panni di “duri” in stile Guerrieri del Bronx di Castellari, affiancano altri interpreti poco conosciuti ma con i volti giusti per i vari caratteri. In Rats c’è infatti una summa dei principali tipi umani presenti nei film anni Ottanta (il playboy, il duro, il saggio, il genio dei computer), oltre a quattro bellissime scream-queen fra cui spicca Geretta Giancarlo Field (con lo pseudonimo di Janna Ryann): attrice di colore con esperienze teatrali a Broadway, è celebre nel cinema italiano per la sua presenza in Murderock di Fulci ma soprattutto in Demoni di Lamberto Bava (è la prima vittima che si trasforma in mostro).
Il soggetto e la sceneggiatura sono scritti da Bruno Mattei e Claudio Fragasso, che danno vita come sempre a un ottimo lavoro sia nello script che dietro la macchina da presa. Il sapore low-budget del film, quel gusto artigianale che gli conferisce una marcia in più, si intravede già dalla prima inquadratura: scorre un piano-sequenza sulla Monument Valley americana (filmato di repertorio) mentre una scritta e una voce fuori campo spiegano la situazione della Terra “Dopo la Bomba” (con la divertente scritta “A.B.” – “After the Bomb” – per indicare la data). Quasi tutto il film sarà poi ambientato in una parte fatiscente degli studi De Paolis di Roma, proprio negli interni e negli esterni che erano stati utilizzati per C’era una volta in America di Sergio Leone: questa scelta – fatta probabilmente per risparmiare sui costi – si rivela decisamente azzeccata per l’atmosfera del film, fatta di scenografie underground tipicamente anni Ottanta (un po’ alla Blade Runner, per intenderci), strade cupe e casermoni abbandonati. L’azione si svolge in prevalenza di notte, all’interno di queste case diroccate e labirintiche disposte su vari piani, fra stanze deserte e avveniristici laboratori con giganteschi computer e colture artificiali. Lo sviluppo della storia è abbastanza semplice, e in questo rispecchia l’idea originale di Mattei – cioè riproporre una storia di assedio in stile zombi, coi topi al posto dei morti viventi. Dunque, una spietata lotta per sopravvivere, personaggi che man mano muoiono nei modi più orribili e scene che descrivono i rapporti fra i membri del gruppo (anche questo è un topos del cinema d’assedio) – interessante in particolare la continua opposizione fra Kurt e Duke (Henry Luciani), che vuole proporsi come nuovo capo.
Rats funziona bene sia come post-atomico (il ritmo non cede mai, anche se non c’è molta azione), sia soprattutto come horror. Tipici del genere post-atomico sono le location (la suddetta città morta, ma anche il deserto su cui si muovono i personaggi all’inizio), i mezzi (moto e carrarmati avveniristici), le armi (fucili e mitra da fantascienza, spade e lanciafiamme) e i costumi (sia l’abbigliamento fantasy dei protagonisti che le tute gialle con maschere, molto simili a quelle bianche di Virus, Contamination e Zombi 3). Il film rimane impresso innanzitutto per gli effetti speciali splatter e gore, a cura di Massimo Trani. Due le scene cult che non si dimenticano: il topo che esce dalla bocca della conturbante Lilith (Moune Duvivier) e il corpo di Massimo Vanni che si gonfia fino a esplodere di topi, sangue e interiora. Ma non solo: pensiamo alla reiterazione della scena con la Duvivier nel finale, con la testa che si stacca e un altro topo le esce dalla bocca, i cadaveri decomposti e scarnificati dai topi che i protagonisti incontrano all’inizio, i volti sanguinanti di Vanni e Chris Fremont (Noah). Molto efficace e inquietante anche la scena conclusiva, in cui uno degli esseri venuti dal sottosuolo si toglie la maschera e mostra un volto di topo. I terrificanti ratti (cavie di laboratorio pitturate di nero per renderle più spaventose) sono a tutti gli effetti co-protagonisti del film: a loro spettano infatti alcune fra le scene più impressionanti, quando coi loro occhi iniettati di sangue assalgono i malcapitati sbucando in massa dappertutto – da sotto, da sopra, dalle scale, dagli armadi. Come in Virus e L’altro inferno, anche qui ci sono alcune scene e dialoghi dal sapore “trash” (una su tutte, la sequenza in cui i protagonisti trovano la stanza piena di cibo), ma questo non ne inficia la riuscita, anzi rende il tutto ancora più divertente.
Completano Rats la fotografia e le musiche, ad opera di due grandi maestri. Il direttore della fotografia è Franco Delli Colli, ottimo professionista e cugino del più celebre Tonino, che è in grado di illuminare le scene con toni contrastanti fra penombra e colori accesi. A differenza di Virus, dove le musiche erano di repertorio, qui la colonna sonora è originale e composta da Luigi Ceccarelli: uomo di cultura a 360 gradi, è celebre anche per aver scritto varie musiche per il cinema di genere italiano. Qui dà vita a una melodia rock-metal ritmatissima e trascinante (che sentiamo fin dai titoli di testa, mentre il gruppo viaggia nel deserto), intervallata nel corso del film da suoni acuti e psichedelici quasi “da videogame”, il tutto dal gusto squisitamente anni Ottanta.
About Davide Comotti
Davide Comotti. Bergamasco, classe 1985, dimostra interesse per il cinema fin da piccolo. Nel 2004, si iscrive al corso di laurea in Scienze Umanistiche dell’Università degli Studi di Bergamo (laurea che conseguirà nel 2008): durante gli studi universitari, ha modo di approfondire la sua passione tramite esami di storia, critica e tecniche del cinema e laboratori di critica e regia cinematografica.
Diventa cultore sia del cinema d’autore (Antonioni, Visconti, Damiani, Herzog), sia soprattutto del cinema di genere italiano (Fulci, Corbucci, Di Leo, Lenzi, Sollima, solo per citare i principali) e del cinema indipendente di Roger A. Fratter.
Appassionato e studioso di film horror, thriller, polizieschi e western (soprattutto italiani), si occupa inoltre dell’analisi di film rari e di problemi legati alla tradizione e alle differenti versioni di tali film.
Nel 2010, ha collaborato alla nona edizione del Festival Internazionale del Cinema d’Arte di Bergamo.
Scrive su "La Rivista Eterea" (larivistaeterea.wordpress.com), ciaocinema.it, lascatoladelleidee.it. Ha curato la rubrica cinematografica della rivista Bergamo Up e del sito di Bergamo Magazine. Ha scritto inoltre alcuni articoli sui siti sognihorror.com e nocturno.it.
Ha scritto due libri: Un regista amico dei filmakers. Il cinema e le donne di Roger A. Fratter (edizioni Il Foglio Letterario) e, insieme a Vittorio Salerno, Professione regista e scrittore (edizioni BookSprint).
Contatto: davidecomotti85@gmail.com
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