Ritorna la premiata ditta Bruno Forzani- Helene Cattet, osannati dopo il cadeau per giallisti all’italiana Amer, qui alla prova più dura, la riconferma dopo l’elogio.
Quando circa tre anni fa assistetti alla visione di Amer rimasi folgorato dal fulmine dell’amarcord e gridai al miracolo, come un bambino ebete e bisognoso di strumenti odontoiatrici correttivi di fronte al giocattolo della vita nella notte di Natale più povera che ci fosse mai stata. Amer fu un miracoloso e, forse miracolato, tuffo nella piscina di Cocoon, un bagno caldo e rigenerante dopo tanto faticare nell’impervia ricerca del decente. Forzani e Cattet, francofoni registi e sceneggiatori ripartono da qui, o meglio, ripartono da O for Orgasm, il corto a loro assegnato nell’ altalenante antologia di ABC’s of Death (2012), per ricondurci nelle viscerali e morbose atmosfere in lattice tipiche di quel Giallo all’italiana mai dimenticato e cavia, nonchè opera di osservazione postmodernista, di mille retrospettive, emblema issato a portabandiera del cinema di genere, eppur paradossalmente mai glorificato e omaggiato a dovere in tempi recenti con produzioni originali di qualità. Forzani e Cattet ci stanno provando, giocando di surrealismo e di plot confondenti, abili mestieranti del clichè riproposto con gusto, mercanti di armamentari su pellicola sempre funzionali come colonne sonore perfette, effetti di camera avvolgenti, bianco e nero dosato come farebbe Carlo Cracco con il tuorlo d’uovo e storie, storie solo apparentemente semplici ma in realtà mosaici che si compongono e decompongono nel corso della narrazione lasciando lo spettatore incantato e confuso, vittima del suo stesso voyerismo, della spasmodica ricerca di senso e geometrie che stanno più nell’immagine, nelle interlinee derridiane, (un pò come in Mallick ma anche nell’ultimo Rob Zombie) che nello scorrere delle sequenze divulgative.
Come loro solo l’ultimo Zampaglione di Tulpa, flebile ma importante segnale di un Giallo alla riscossa, di un filone che pareva seppellito da tonnellate di finali buonisti e virali contagi losangelini. Cattet e Forzani mirano altrove, sono violenti ed eleganti, non discostandosi troppo, sebbene personali e autentici nella messa in scena, a quella nouvelle vague d’horreur che ha fatto di una certa cruda poesia le sue fortune cinque o sei anni fa. Va da se che le aspettative per questo The Strange Colour of Your Body Tears siano alte, altissime, e non importa se ai primi appuntamenti sulle passerelle autorevoli di Locarno e Toronto qualche purista abbia storto il naso parlando di cinema miscredente e manierista e non importa nemmeno se non tutti sapranno apprezzare il coraggio di autori veri che fanno vero cinema d’autore in un’epoca in cui le briglie produttive sono sempre più strette e la differenza fra retromania spicciola e reinterpretazione di classe dello stilema mitico sono istanze sempre più confuse.
Nel nuovo lavoro, che originariamente doveva chiamarsi con l’ancor più stuzzicante e fulciano titolo “lo strano dolore delle tue lacrime corporee“, Forzani e Cattet ci propongono la storia di un uomo che tornando a casa non ritrova più la moglie. Per le indagini si rivolge a un investigatore privato che presto si troverà di fronte ai morbosi segreti della coppia e alle vertiginose perversioni lungo il sottile confine fra sesso e morte messe in scena con teatrale ridondanza nel loro appartamento.
Girato in un suntuoso alloggio in stile art nouveau in una scura e labirintica Brussells, la pellicola conduce lo spettatore in atmosfere meno lisergiche di Amer più accessibili e concrete, che vagamente ci riportano al Tenebre (1982) argentiano, mantenendo però viva l’estetica legata al sogno, all’immaginario, all’ottundimento e all’inafferrabile. La casa in cui si svolgono i fatti è labirinto kubrickiano, sistema di scatole cinesi in cui il mistero si cela e si svela in un progressivo meccanismo d’eccitante ricerca della suspance. Il tema dell’ossessione, del desiderio, del sangue come catalizzatore dell’impulso irrefrenabile viene ancora una volta rimesso in campo con feticistica e freudiana consapevolezza, come sigillo soffocante dell’impotenza dell’uomo di fronte al suo meccanismo di sublimazione. Sembra di rivivere il primo Argento, o Bava, Fulci, Lenzi e gli altri, e tanto basta per sperare in un’uscita italiana ovviamente ancora tutta da confermare. Ed è proprio questa indecisione distributiva a ricordarci tutta la tristezza che ruota intorno ai meccanismi di scelta a cui lo spettatore del Bel Paese è costretto a soggiogarsi.
httpv://youtu.be/wCyrlR2iRnE
About stefano paiuzza
Appassionato d'horror da tempi recenti ma affascinato dalla paura da sempre. Ama in particolar modo il cinema europeo ed extra hollywoodiano in genere. Sogna una carriera come critico cinematografico e nel frattempo si diletta tra letture specifiche e visioni trasversali. Lavora a stretto contatto con la follia o forse è la follia a lavorare su di lui. Se fosse un regista sarebbe Winding Refn, uno scrittore Philip Roth, un animale una tartaruga. Ha pronto uno script per un corto ma non lo ha mai fatto leggere. Citazione preferita: "La dittatura è dentro di te" Manuel Agnelli.