C’era una volta un genere. C’era una volta una dimensione cupa e malata dove l’alter-ego digitale veniva calato. C’era una volta il tema della sopravvivenza in un’atmosfera di puro terrore e suspance. C’era una volta il survival-horror.
Che il survival horror stia pian piano sparendo dalle nostre console è ormai cosa risaputa. Basta prendere gli ultimi tre titoli ufficiali di Resident Evil –tra l’altro la saga che più di tutte ha dato inizio al genere- per rendersene conto. L’horror di sopravvivenza non vende. Purtroppo, è così. I developer preferiscono stuprare i loro titoli più survival trasformandoli in meri action dai toni un tantino sovrannaturali. Noi di horror.it siamo tipi nostalgici, lo sapete, e se lo siete anche voi e vi mancano quei cari vecchi salti sulla sedia, seguiteci in questo nostro imponente excursus nel genere che più di tutti amiamo.
Oggi ci occupiamo di Alone In The Dark.
Partiamo dagli albori, quando nel 1992 su MS-DOS apparve per la prima volta un ID dal nome Alone In The Dark, l’indimenticato capolavoro di Frédérick Raynal per la defunta Infogrames (assorbita da Atari nel 2004).
httpv://www.youtube.com/watch?v=OJWrNIJMegg&w=420&h=315
TRAMA
Louisiana, 1925. Jeremy Hartwood, noto artista, viene trovato impiccato nella soffitta della sua villa Derceto, secondo voci popolari popolata da spiriti maligni. La polizia chiude rapidamente il caso che viene archiviato come suicidio, e dopo poco tempo il fatto viene dimenticato da tutti. Il giocatore può scegliere di interpretare due personaggi, differentemente collegati alla storia: Edward Carnby, investigatore privato ingaggiato da una proprietaria di un negozio d’antiquariato per recuperare un antico e prezioso pianoforte, e Emily Hartwood, nipote di Jeremy che non crede al suo suicidio. Attraverso documenti, libri e pergamene sparsi in giro, si scoprirà che la villa è stata costruita da un occultista di nome Ezechiel Pregzt, e sotto di essa ci sono caverne dove venivano eseguiti rituali di ogni tipo di magia nera…
IL PRINCIPIO
Ispirato dalle tematiche e atmosfere tanto care a H.P. Lovercraft (a cui viene anche dovuto un ringraziamento nel corso dei titoli di coda e con ovvio richiamo sulla front-cover americana ndr.) il primo capitolo della saga che ha inaugurato il genere è tutt’oggi incluso nelle Top Teen dei giochi più paurosi di sempre. Sfruttando una visuale in terza persona, il videogiocatore sarà immerso in un ambiente dallo sfondo pre-renderizzato e da personaggi e oggetti composti da poligoni. Più specificatamente, gli sfondi sono fissi e bidimensionali mentre gli oggetti e i personaggi sono calcolati dal programma in tre dimensioni. L’engine ibrido consente agli oggetti dinamici, ridisegnati in tempo reale, di muoversi e ruotare liberamente, mentre gli ambienti (le stanze) sono visualizzati solo da particolari angoli di telecamera prefissati che si alternano a seconda della posizione del protagonista. Questa tecnica permette di sfruttare angolazioni di grande effetto drammatico, anche se talvolta ha lo svantaggio di rendere l’azione un po’ confusa per il giocatore. Si tratta comunque di un approccio ideale per il genere horror: non a caso, la stessa tecnica verrà ripreda dai primi tre capitoli di Resident Evil. Scopo del gioco è quello di trovare una via di uscita dalla villa di Derceto, scoprendo i misteri che essa nasconde. Un menù ci dava la possibilità di selezionare di volta in volta e a seconda delle necessità, quattro diverse modalità, attivabili premendo la barra spaziatrice: aprire/cercare, chiudere, spingere e combattere. Mentre le prime tre voci da davano la possibilità di interagire con gli oggetti sparsi per la villa, la quarta e ultima voce era volta al solo affrontare i vari nemici che ci si paravano davanti. Alone In The Dark vedeva integrati nel proprio gameplay anche degli enigmi la cui soluzione ci dava modo di proseguire l’avventura. Muovendo il personaggio, o utilizzando la funzione “cercare” era infatti possibile raccogliere alcuni oggetti indispensabile per la risoluzione degli enigmi che sbloccavano nuove aree della villa. Altri oggetti ci davano modo di combattere le varie creature che popolavano la mappa di gioco. Era infatti possibile trovare delle armi da fuoco e relative munizioni, oltre che diverse armi bianche. In Alone In The Dark alcune creature non possono essere sconfitte attraverso l’uso di armi convenzionali, ma solo attraverso particolari stratagemmi, spesso suggeriti dai molteplici libri presenti nella casa. Un fattore che rendeva l’intera avventura più inquietante e ansiogena del previsto. Essendo basato su uno dei primi motori 3D, scritto in un periodo in cui non era disponibile ancora alcuna accelerazione hardware per la grafica, il gioco non si muove molto velocemente. Tuttavia gli sviluppatori sono riusciti a trasformare questo potenziale punto debole in un ulteriore vantaggio per il gameplay: la lentezza di alcune azioni del protagonista aumenta il senso di panico nell’imminenza di un attacco, come in un incubo in cui non si può correre abbastanza in fretta da sfuggire al mostro. In effetti, i programmatori hanno accentuato questo senso di impotenza rallentando ulteriormente i personaggi feriti – un tocco di realismo ancor oggi condiviso da ben pochi titoli. L’atmosfera viene mantenuta per tutto il gioco con porte cigolanti, pavimenti pericolanti e l’apparizione improvvisa di mostri.
PASSI FALSI
Quando nel 1994, Infogrames pubblicò in versione multipiattaforma (3DO, Sega Saturn e PlayStation) il sequel della avventure di Edward Carnby, i fans del primo capitolo si ritrovarono tra le mani una brutta sorpresa. A differenza del titolo originale infatti, in questo secondo episodio la componente horror venne drasticamente ridotta in favore del adventure-mistery puro. I nemici, da mostri e creature malefiche vennero sostituiti con più classici pirati e gangster. La produzione, per non lucrare troppo sul titolo, ha comunque pensato bene di includere nella storyline alcuni riti vodoo che trasformavano alcuni nemici in zombie. Per diversificare ancora un po’ e ridurre la tematica survival-horror venne introdotta un personaggio giocabile di nome Grace, una bambina, la cui incapacità nel combattimento dava inizio ad interminabili e frustanti sessioni stealth: l’essere scoperti significava un veloce quanto doloroso Game Over. Il gioco fu comunque molto apprezzato dalla critica, con recensioni entusiaste e pareri non molto discordanti. L’ulteriore successo di vendite fece largo ad un nuovo capitolo, Infogrames stava per posporre alla saga l’agognato numero 3.
RITORNO ALLE ORIGINI E UN PASSO NELL’OBLIO
1927, una troupe cinematografica scompare misteriosamente nei pressi di un paesino di nome Slaughter Gulch situato nel Deserto del Mojave. Le autorità chiamano Edward Carnby a indagare ma lui rifiuta, fino a quando non gli dicono che il paese è abitato da fantasmi e che tra l’equipe c’è anche Emily Hartwood, vecchia amica di Edward. Qui inizia ad essere perseguitato oltre che da fantasmi sanguinari, anche da dei cowboy mostro con il grilletto facile che si scoprirà essere stati mutati così dalla cava radioattiva che scavò Jeb Stone (figlio di Ezejial Pregtz, primo nemico di Carnby) il fantasma di un pazzo criminale molto temuto che si pensava fosse morto.
Nel 1995 venne rilasciato quindi l’ultimo capitolo della trilogia originale. Con Alone In The Dark 3, la saga tornò a percorrere il suo territorio originale e cioè quello del survival horror, catapultando questa volta il giocatore tra sperdute lande indiane degne del miglior western crepuscolare. Alone in the Dark 3 concede un’ulteriore boccata d’ossigeno ai giocatori frustrati dalle sequenze d’azione, che talvolta sono molto impegnative: la possibilità di scegliere la difficoltà dei combattimenti. Altre novità gradite sono l’introduzione di un numero illimitato di salvataggi, che consentono di sperimentare varie scelte a proprio piacimento, e una mappa con l’indicazione della posizione esatta di Edward. Purtroppo questo fu anche l’ultimo titolo della saga. Con l’avvento di titoli più moderni e dalle tematiche più interessanti –e cinematografiche- come Resident Evil e Silent Hill, la saga di Infogrames si avviò verso il dimenticatoio. E lo scarso incremento di vendite non fece altro che affrettarne la dipartita.
ANNI 2000, SHADOW ISLAND
O Alone in the Silent Resident Evil Dark Hill. Avete mai giocato almeno un Resident Evil e Silent Hill? Ecco, mixate i punti di forza di queste due grandi saghe videoludiche ed avrete ottenuto il quarto episodio della saga di Carnby. La trama del gioco si basa sulle vicende sviluppatesi in seguito all’omicidio di un caro amico del protagonista chiamato Charles Fiske. Gli indizi portano Carnby ad una persona chiamata Edenshow, la quale aveva assunto Fiske per fargli ricercare tre antiche tavole sulle quali si presumeva fosse descritto come sbloccare e possedere un incredibile e terribile potere. Edenshow chiede a Carnby di continuare e portare a termine il lavoro iniziato dall’amico e di ricercare quindi le antiche tavole. A bordo di un aeroplano ed in compagnia di una affascinate fanciulla di nome Aline Cedric, Carnby partirà alla volta di Shadow Island con in cuore soprattutto il desiderio di scoprire il motivo della morte del suo amico. Ma proprio durante il viaggio qualcosa va storto e i due sono costretti a paracadutarsi dall’aereo ormai destinato ad esplodere. Essendo questo il quarto capitolo ufficiale di Alone In The Dark tutti si aspettavano un nuovo capitolo di Alone In The Dark. No. Infogrames solleticata dall’idea di guadagnare grazie all’aura cult che pregna il loro titolo decise di fare le cose con fretta e semplicità. Ispirandosi chiaramente allo schema di controllo e alle situazioni del primo Resident Evil, The New Nightmare introduce nuovi effetti di illuminazione dinamica che entrano a far parte del gameplay (le creature sono sensibili alla luce) e offre due stili di gioco diversi che ricordano i differenti approcci di Edward e Grace in Alone in the Dark 2. Anche stavolta chi sceglie Carnby si trova ad affrontare un gioco orientato all’azione, mentre Aline offre un’esperienza concentrata soprattutto sugli enigmi. Nonostante qualche caratteristica apprezzabile innovazioni praticamente zero. I fondali, come sempre, sono renderizzati con una palette di colori che a volte sembra stonare e con un effetto pioggia che sembra appartenere al passato delle console a 32 bit. Una delle cose poche belle che distingue il motore grafico da quello, molto simile, di RE è il fatto che questo reagirà in maniera molto fluida e fedele all’esposizione di alcune sue sezione alla luce della torcia,rendendo l’utilizzo di questo strumento a dir poco vitale e dando nel contempo un aspetto più “vero” ad un “falso” ambiente 3D. I personaggi umani non hanno un gran numero di animazioni, per non parlare delle animazioni facciali, completamente assenti (infatti vedrete Carnby interagire con gli altri personaggi con la bocca chiusa). Se non ci sono le animazioni facciali, figuriamoci se i vestiti si deformano in base ai nostri movimenti, producendosi in pieghe e riassestamenti in seguito a scalinate e saltelli qua e là. La maggior parte dei mostri sono realizzati con un esiguo numero di poligoni, ma almeno si presentano in una veste grafica migliore degli umani. Tutto da buttare quindi? Anche no. A conti fatti ci troviamo di fronte ad un videogioco che dovremmo consigliare praticamente a tutti, in virtù di una storia accalappiante, un’atmosfera da brivido che genera quella dannatissima convinzione che tra meno di 5 secondi qualcosa si farà strada verso di noi e che regala dei momenti di forte tensione ed orrore puro. Purtroppo la tecnica di realizzazione è alquanto pessima e questo “nuovo incubo” non si fece ricordare praticamente da nessuno.
TIESTO?
Quando, nel 2008, si apprestava ad uscire il quinto ed ennesimo reboot della saga uno dei punti di merchandising più sfruttati da Atari fu la canzone realizzata appositamente dal più grande e famoso Dj al mondo: l’olandese Tiesto.
httpvh://www.youtube.com/watch?v=ZGgzWKYqzJU&w=560&h=315
Ambientato, “temporalmente parlando” nel 2008, vestiremo di nuovo i panni di Edward Carnby, il quale si troverà suo malgrado, ancora una volta invischiato in un demoniaco complotto a base di mostri, oscuri personaggi un tantino nervosi, demoni, spiritelli e compagnia infernale, nella Città che non dorme mai (si tratta di New York). Nella fattispecie, il fulcro di tutte le attività ectoplasmiche e non nella città Americana pare essere il caro vecchio Central Park…ed è proprio li e nelle zone limitrofe – intese anche come fogne, reami infernali, cattedrali et similia, che noi, nei panni di Edward, dovremo in primis ricacciare le forze del male da dove sono venute e, nello stesso tempo, scoprire la verità su alcuni dettagli minori (!), come ad esempio la nostra incredibile longevità. Cose di tutti i giorni, quindi…e pensare che il tutto è iniziato con accadimenti appena al di la della normale routine quotidiana, come ad esempio una invasione di insetti, la mutazione genetica di alcune piante e una migrazione di massa degli uccelli newyorkesi. Edward Carnby è completamente cambiato: da originale detective privato degli anni ’20 è diventato un generico clone di Keanu Reeves dalla giacca di pelle e le guance mal rasate. Per quanto riguarda la trama, il giocatore è chiamato a investigare una serie di indizi e dicerie che lasciano sospettare la presenza di attività clandestine nei tunnel che si snodano sotto Central Park. La versione del 2008 di Alone in the Dark aggiunge alla formula classica una serie di elementi interessanti, come la possibilità di guidare veicoli, una visuale in prima persona (già presente nei titoli Gun Survivor della serie Resident Evil) e un sistema di modellazione del fuoco molto pubblicizzato. La simulazione, che in modo molto ambizioso cerca di ricreare l’effetto delle fiamme reali, può essere sfruttata per eliminare i nemici e per bruciare o sciogliere gli oggetti presenti nel mondo. Sfortunatamente altre innovazioni – come la quantità di missioni tipo “trova l’oggetto” e la necessità di tornare a visitare più e più volte le stesse locazioni – non funzionano altrettanto bene e appesantiscono quella che, presentata in modo compatto e coerente, avrebbe potuto essere una buona esperienza. L’accoglienza da parte della critica è stata caratterizzata da alti e bassi, con preponderanza dei secondi, anche per colpa dei numerosi errori di programmazione e del sistema di controllo involuto e confuso.
Lo scarso successo di critica e vendite non hanno consentito però di creare un gioco in grado riportare in auge il nome di Alone in the Dark, e di restituire il giusto riconoscimento a quello che molti giocatori moderni considerano un semplice clone di Resident Evil.
About Giovanni Lorecchio
Famiglia modesta, lui un po’ meno. Un folle, dilaniato da miliardi di idee ma con pochi mezzi per realizzarle. Grande appassionato di cortometraggi in computer grafica e di colonne sonore, ama particolarmente l’accostamento horror/sci-fi. Odia il brutto cinema e si dedica alla composizioni di colonne sonore di genere.
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