Continua la saga appassionante in forma di diario sugli zombie di J.L. Bourne.
In fondo fa riflettere il grande successo che gli zombie stanno riscuotendo in questo inizio di secolo. Sono nati nel 1967, hanno prosperato negli anni 70 e 80 senza però diventare mai una moda. Quelli sono stati gli anni di Leatherface, Freddy Krueger, Jason e Michael Myers, assassini seriali con la maschera e la predilizione per l’arma bianca, uomini invisibili privi di emotività, capaci di esprimere solo con un gesto tanto estremo la mera caricatura di un guizzo empatico. Oggi invece è il tempo degli zombie, i cannibali in decomposizione e tutte le tematiche a essi collegate: l’apocalisse, l’epidemia, il crollo dei valori, l’avvento di un nuovo mondo barbarico. Il successo di questa creazione fantastica è proprio nel riuscire a racchiudere insieme tutte le paure dell’uomo moderno. Non si hanno notizie di un musical sugli zombie ma credo che sia solo questione di tempo. Film, fumetti, serie televisive, canzoni e romanzi, quadri, sculture… ogni forma di espressione artistica si è appropriata del mito del morto vivente antropofago e ha cercato di darne una versione dimensionale, uno sguardo altro. In fondo quella dei film di Romero, O’Bannon, fino a L’alba dei morti dementi e Zombieland fino alla serie televisiva The Walking Dead è sempre la stessa storia. Possono esserci delle varianti ma saranno minime, non cambieranno la trama. E la saga del Diario di un sopravvissuto agli zombie non fa eccezione. Sì, c’è la bomba atomica come base di partenza ma non appena i morti iniziano a rialzarsi e smaniare per la carne dei vivi, non c’è altro da aggiungere, è come aggrapparsi a un pilota automatico che ci condurrà verso le solite scene di festini splatter, struggenti addii a furia di clementi esecuzioni, rivalità tra sopravvissuti, un centro commerciale o un hotel come base da cui respingere l’assurda fine del mondo almeno per qualche giorno prima di arrendersi e passare al vasto esercito nemico sempre in crescita. E i militari invece di salvare gli innocenti diventano un altro problema a cui dover rispondere, le orde di saccheggiatori, spesso in motocicletta, sono i massimi esempi per dar gioco alla retorica sull’avidità, l’egoismo degli uomini che in circostanze simili non subisce clamorose smentite e così via in un carosello di eventi che rappresentano una sorta di blues cannibalico sempre avvincente, nonostante l’interprete del momento.
J.L. Bourne non è un grande scrittore ma la storia che ha in mano è infallibile. La bravura e il merito di questo autore è quindi di aver scelto la penna e la carta come mezzi per farci tornare in quella dimensione d’incubo che ormai conosciamo fin troppo bene. Il realismo, la cadenza blanda e a volte apatica del diario, con le date, le ore ben specificate dal sopravvissuto, che appaiono insignificanti e che invece sono lo scoglio su cui si aggrappa e da cui tenta di riprendere fiato ogni volta che torna da una ricognizione aerea o del recupero di qualche sopravvissuto. Il tono è quello piatto e indifferente di chi ha solo una grande stanchezza addosso ma anche pieno di crepe da cui ci investono esplosioni emotive spiazzanti. Come però nella serie televisiva della Fox è possibile approfondire, grazie alla dilatazione temporale degli innumerevoli episodi, le dinamiche dei rapporti di un pugno di derelitti che cercano di vender cara la pelle, con la forma romanzo ci si può addentrare nella mente di un uomo solo, e descrivere al suo progressivo deragliamento di fronte a una tragedia che non mostra alcun tipo di soluzione. La sopravvivenza è solo apparentemente un motivo sufficiente per tirare avanti in un mondo divenuto all’improvviso così ostile. L’uomo ha bisogno di sentire che i suoi sforzi producano qualcosa di solido, edificante. La natura umana non è solo alimentazione e defecazione. Occorre un mondo sicuro in cui potersi riprodurre. Quella è la vera spinta che porta la razza umana avanti nei secoli e se viene meno, ecco che la routine del cibo e della violenza alla lunga finiscono solo per logorare chi non si arrende e trasformarlo giorno dopo giorno in cibo per una nuova razza dominante che non ha bisogno di riprodursi con il sesso e che non morrà. “Dove trovano le loro energie? Perché sembrano sempre così attivi?” Il sopravvissuto di arrovella sul mistero degli zombie ma gli scienziati non ci sono più, né gli ingegneri. Solo biblioteche polverose piene di manuali che bisognerebbe recuperare rischiando la morte.
La letteratura, come intuirono per primi Sclavi con Dellamorte Dellamore, Manfredi con Magia Rossa e soprattutto Skipp e Spector con la straordinaria antologia Book Of Dead, permette di sondare proprio l’unica cosa che il cinema e qualsiasi altra arte figurativa non potrà mai rivelarci: non l’inferno che circonda il sopravvissuto ma quello che c’è dentro di lui. Mi sembra che Oltre l’esilio, l’autore ne approfitti solo in parte. Ci sono momenti in cui il sopravvissuto scambia gli zombie per esseri umani ancora vivi e bisognosi di aiuto, è tale il suo desiderio di reagire a quella realtà necrotizzante che ha le traveggole. Ecco, questi sono dei flash stimolanti e suggestivi che durano troppo poco. La descrizione di una superficie desolante che ormai tutti conosciamo, la scansione routinaria del girare in tondo di chi ruba un altro giorno alla devastazione, con l’esercito dei morti che avanza accompagnato dalla puzza, la follia e la disperazione possono anche colpire la nostra immaginazione ma non è adottando un linguaggio cinematografico che la narrativa può vincere la sua partita. Il diario dovrebbe farci entrare nella testa di chi assiste a tutto questo e invece le emozioni vengono messe a freno, quasi che il protagonista non abbia altra scelta, del resto. Il conflitto è credibile però solo a tratti. Un personaggio è un ex ufficiale dei marines e in quanto tale è formato su questo principio di freddezza, controllo e determinazione, non sembra quindi il miglior esemplare da cui spiare la morte trionfante. Forse sarebbe stato più interessante un prete o un bambino. Detto questo però bisogna aggiungere che il ritmo è alto e non ci si annoia. Il pubblico appassionato dei film Romeriani e della serie The Walking Dead troveranno carne marcia per i propri denti.
About Ceccamea
Nato a Vetralla (VT) l'8 dicembre del 1978. Scrittore, strimpellatore di chitarra, ex-fumatore incallito. Sposato, con figli. Una di tre anni. L'altra in arrivo per il nuovo anno. Maya permettendo.