Appena finisci di leggere un romanzo come “Nel cuore oscuro del male”, inevitabilmente il tuo cervello parte a cercare l’aggettivo più calzante per definirlo…
Disturbante, cupo, geniale, coinvolgente, sconvolgente. E la verità ovviamente sta nel mezzo, ovvero nell’insieme di tutte queste definizioni. Peter Straub ha fatto centro, un centro perfettamente rotondo, che sta lì e continua a fissarti come un occhio maligno, anche dopo svariati giorni che hai chiuso il libro.
La trama ruota intorno a un giovanissimo protagonista attratto dall’omicidio e dalla violenza, che si “limita” a esercitare su piccoli animali. Keith è appena un bimbetto quando lo zio Till, affascinante quanto perverso uomo dalla doppia vita (una delle quali è quella del serial killer), lo introduce nel mondo del crimine perfetto e dell’arte di mascherare le più malsane pulsioni dietro una parvenza di normalità. Nella sua adolescenza Keith costruisce un altro rapporto esclusivo: dopo lo zio Till, lo sfortunato compagno di scuola Miller, con il quale instaura un legame ai limiti del sadismo. Sarà proprio Miller a diventare infine il terzo vertice di un triangolo che lo vedrà coinvolto, con Keith e Till, in un gioco di morte senza speranza.
Straub costruisce una storia perfettamente calibrata, un crescendo di dramma, orrore e tensione, che avanzano per gradi fino all’inaspettata esplosione finale che ci lascia emozionalmente scottati e senza nessuna forma di giustizia o salvezza ultima a rincuorarci.
Il rapporto tra Keith e lo zio Till, morboso e ossessivo, e quello tra Keith e Miller, che inizia come una specie di patto di sangue, un legame triste e impossibile tra due ragazzi fondamentalmente emarginati, sono i due perni su cui ruota l’orrore, quello scavo certosino e implacabile che Straub opera, pagina dopo pagina, nell’estenuante tentativo di dare un volto al Male. Come spesso succede, la scelta del mostro con la faccia umana rispetto a quella del mostro con la faccia aliena risulta vincente: disgregando alcuni tra i temi più sacri della nostra società (l’infanzia, la famiglia, l’amicizia), Straub riesce a farci sentire il buio che ci respira sul collo, spesso suggerendo e abbozzando le atmosfere più che esagerando con le immagini brutali e il sangue, e pur tuttavia riuscendo, anche in poche semplici frasi, a evocare l’inferno.
Centosessanta pagine da assaporare, coscienti che vi farete prendere a calci in faccia. Ma in fondo è quello che deve fare un’opera horror come si deve. L’unico appunto lo si può fare al titolo italiano, forse un po’ banale e “già sentito” rispetto all’ironia intrinseca e all’efficacia dell’originale “A special place”. Tutto sommato anche lo staff delle Edizioni Anordest, a cui dobbiamo questa uscita, deve averlo intuito, e “A special place” resta fortunatamente come impareggiabile sottotitolo.
About Simona Bonanni
Simona da piccola aveva paura dei vampiri, oggi non ne può più fare a meno, a costo di incappare in libri e film di discutibile qualità. Artisticamente onnivora, è attratta da tutto ciò che è strano, oscuro e singolare. Divora pagine in gran quantità, scrive, fotografa, crea e dà molto credito a tutto quello che le passa per la testa. Ma l’unico che l’ascolta è il suo gigantesco gatto nero.
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