Carlo Rambaldi è il papà di E.T. e il vincitore di tre premi oscar per gli effetti speciali (E.T., King Kong e Alien).
Il mondo lo ricorda per questo. Il mondo ce l’ha invidiato e ce l’ha portato via per molti anni, ma quando i computer hanno preso il posto della tecnotronica, ecco che il mago artigiano, questo Geppetto moderno è stato messo da parte, lui e la sua poesia. Il successo, il denaro pare non l’avessero cambiato. Era sempre quel ragazzino che costruiva giocattoli con il fango e i legnetti perché i pupazzi che arrivavano nel negozio del suo paese di Vigarano Mainarda, vicino Ferrara, non gli piacevano per niente. Era il lavoratore ingegnoso, autodidatta, sognatore, che si chiudeva nel proprio studio e faceva tutto da solo. Aveva iniziato a lavorare nel cinema quasi per scherzo, costruendo il drago di 16 metri per il Sigfrido di Giacomo Gentilomo e da lì, ventidue anni più tardi ridefinì la figura dell’alieno nell’immaginario collettivo con una cosa che era ‘innocente ma non stupida’ come Steven Spielberg gli aveva suggerito quando gli commissionò il lavoro per E.T. Rambaldi immaginò il piccolo esule extraterrestre partendo dal muso del suo gatto, che ridisegnò tralasciando le orecchie e alzando un po’ il naso. Si ispirò anche a un dipinto fatto da lui stesso molti anni prima in cui aveva ritratto delle donne che lavavano i panni nel fiume. Erano magre, dal collo fino e molto lungo, la mascella pronunciata e la testa a mo’ di periscopio. Quando disse a Spielberg che ci sarebbero voluti trentamila dollari, il celebre regista pensò che lo stesse prendendo in giro. Così poco? Non poteva essere…
Rambaldi veniva dalla scuola di Mario Bava e Antonio Margheriti, lavoratori dall’immaginazione sfrenata e dall’indomita ingegnosità, si arrangiavano con quello che avevano, non sapevano proprio cosa significasse la specializzazione, tanto meno i grandi compensi di Hollywood. Si chiudevano in una stanza e rimanevano soli a un tavolo pieno di oggetti da cui riuscivano a far nascere un mondo ultraterreno di grande impatto. Perché il cinema era magia, lo sapevano bene, non ci voleva molto per illudere gli spettatori che quattro bastoncini e due blocchi di cartapesta fossero un gigantesco dinosauro. Il cinema americano tentò invano di sedurre i maestri italiani di Rambaldi, troppo timorosi per potersi gettare nell’avventura oltre oceano: Bava rifiutò di gestire le megaproduzioni con un’alzata di spalle e scuotendo la testa come se fossero solo dei gran matti a rivolgersi proprio a lui, ma il suo allievo Carlo, quando la chiamata toccò a lui, più consapevole dei suoi mezzi e più ambizioso, si fece trovare pronto e accettò. Si buttò nell’avventura americana e ottenne gloria come nessuno nel suo campo. Tre Oscar in meno di cinque anni; poi un rapido abbandono. Cosa avrebbe potuto ancora creare un tale immaginatore se avesse ceduto alle moderne tecniche digitali? Invece non si lasciò coinvolgere e continuò a professare i pregi delle tecniche tradizionali, più vicine al vero e all’immaginario della mancanza di spessore e la freddezza delle tecniche al computer.
Rambaldi sognava e non smise mai di farlo. Baloccandosi nei pensieri con il suo ideale artistico di una vita, il Pinocchio Collodiano. Ci andò vicino con Comencini, che all’inizio lo coinvolse ma sparì fregandogli il progetto. Finì tutto in tribunale e Rambaldi vinse la causa. Anche Benigni si fece sentire, tanti anni dopo. Il comico toscano lo interpellò per alcuni consigli, ma non andò oltre. Rambaldi ci restò male, ma ormai non lavorava più in grosse produzioni cinematografiche e si sentiva quasi di giustificare il comico toscano per non aver deciso di affidare a lui le creazioni di Pinocchio. Se escludiamo i due pessimi horror diretti dal figlio: I Demoni della mente e Rage – Sete di sangue, entrambi flop e ormai scult misconosciuti, il contributo di Rambaldi al mondo del cinema negli ultimi vent’anni è stato praticamente nullo. Non per volontà sua, sia chiaro. Probabilmente sperava di essere cercato e che qualcuno gli permettesse di creare sul serio ciò che aveva in testa, ma si sbagliava. Nessuno lo cercò mai perché nel mondo del cinema basta una parola e sei fuori. Di lui si diceva che era superato, perso nei progetti infantili e nella cocciutaggine di artigiano senza ormai più neanche una bottega propria.
La tecnologia spesso non equivale al progresso, ma quasi sempre illude che sia così e allora finisce per spingere l’arte in direzioni che alcuni grandi artisti non riescono o non vogliono proprio seguire. Non stiamo sostenendo che la sorte di Rambaldi sia equivalente a quella di Buster Keaton, ma poco ci manca. Quanta retorica sulla sua morte, quando da vivo non gli permisero nemmeno di tenere aperta una scuola. Gli sarebbe forse dispiaciuto anche di più vedersi celebrato così tanto, solo dopo la sua scomparsa. Che poi Rambaldi, prima di vincere gli oscar e diventare celebre per l’alieno più simpatico del mondo, fu uno dei più brillanti creatori di incubi per il cinema fantastico italiano. A partire dai capolavori di Bava di cui fu allievo brillantissimo, passò poi a prestare servizio presso alcuni dei registi più rappresentativi del gotico nostrano: da Avati a Freda, da Pupillo a Damiani. Nel suo curriculum figurano sì i kolossal di Hollywood come Incontri ravvicinati del terzo tipo, ma anche cose meno nobili come i due film di Sergio Garrone: La mano che nutre la morte e Le amanti del mostro e ancora i non meno indegni Frankenstein e Dracula riletti da Andy Wharol e Paul Morrissey. Tutte pellicole in cui il povero Rambaldi fece di necessità virtù, mettendosi comunque in evidenza nelle scene di impalamento, sevizie e mutilazioni che lo prepararono al grande salto con Dario Argento, per il quale si occupò degli effetti di alcuni dei film più famosi.
Sono sue le decapitazioni di Quattro mosche di velluto grigio e Profondo Rosso, che restano ancora oggi esempi insuperati di macelleria lirica. Celebre è poi il caso di Una lucertola con la pelle di donna di Lucio Fulci, in cui Rambaldi creò, per la scena in cui venivano torturati, dei modelli di cani così realistici da far finire lui e il regista in tribunale con l’accusa di maltrattamenti sugli animali. Non ci scordiamo poi che oltre E.T., e Alien ci sono altri esseri spaziali non molto famosi tra i profani, ma noti agli appassionati di horror e di certo non meno suggestivi, come l’amante tentacolato che consuma dei travolgenti amplessi insieme alla necrotica Isabelle Adjani, nel film Possession di Andrzej Zulawski; Dagoth, dio degli incubi, nell’inguardabile Conan il distruttore, il verme gigante nel capolavoro di David Lynch Dune; il lupo mannaro del Kinghiano Unico indizio la luna piena di Daniel Attias. Va ricordata inoltre La mano assassina nell’omonimo debutto di Oliver Stone, di cui rimane impresso l’aneddoto di quando Rambaldi litigò con il regista che aveva cercato di fare la pipì sopra l’arto meccanico perché desiderava si muovesse con delle mosche intorno e urinandoci sopra era certo che le avrebbe attirate. “Fermo!” gridò Rambaldi, “ma cosa fai, così me la mandi in cortocircuito!”.
About Ceccamea
Nato a Vetralla (VT) l'8 dicembre del 1978. Scrittore, strimpellatore di chitarra, ex-fumatore incallito. Sposato, con figli. Una di tre anni. L'altra in arrivo per il nuovo anno. Maya permettendo.