Un horror prezioso da gustare senza fretta.
Dopo più di cento anni, lo Yankee Pedlar Inn sta per chiudere. Gli ultimi due impiegati, Claire e Luke,sono determinati a trovare prove del fatto che l’hotel sia uno dei luoghi più stregati del New England. Mentre si avvicina il giorno della chiusura l’hotel si popola di strani clienti mentre lo spirito di una sposa insanguinata comincia ad aggirarsi per i corridoi dell’albergo.
Strano oggetto questo The Innkeepers come strana è d’altronde la filmografia di Ti West, regista indipendente, dall’animo di guerriero anti Hollywood. Prendete quindi un qualsialsi horror moderno filtrato con le regole del vecchio videoclip alla MTV che ha reso grande lo stile di autori come Tony Scott e registi alla Michael Bay, inquadrature di un millesimo di secondo, montaggio sincopato, ritmo sparato ad alto volume heavy metal, senza dimenticare ragazzi palestrati e bellone dalla zip sbarazzina, e dimenticate tutto, tornando indietro ad una scuola horror che ha radici nel cinema muto. Ed è appunto il cinema muto il referente più vicino a questo The Innkeepers, a partire dalla divisione in capitoli, in un intreccio che mischia la letteratura gotica, Il castello di Otranto di Horace Walpole su tutti, in uno scenario moderno.
Ecco che Ti West non si risparmia la critica ad un horror caciarone che lui aborrisce, lui che ha girato il film horror più anni 70 in circolazione, e, che, per questo, sceglie, come protagonista, una ragazza, Sara Paxton, bellissima, e la copre tutta di abiti larghi, poco sexy, la rende sciatta e nel contempo umana grazie all’espediente dell’asma, ma non solo. Soffermiamoci sulla scena più inutile del film, roba che qualsiasi regista sano di mente avrebbe tagliato dal cut finale, ma che Ti West, giustamente, lascia: vediamo la protagonista portare fuori dei sacchi dell’immondizia e cercare di non sporcarsi, inutilmente s’intende. E’ una scena alla Charlot, buffa, come dicevo inutile per lo sviluppo della trama, ma assolutamente preziosa perchè è in quell’istante, con la mdp che si ferma a guardare la Paxton impacciata e vulnerabile, che ti affezioni al personaggio e il film ora potrebbe parlare di un coniglio gigante che mangia patate, ma non importa, sarebbe lo stesso, Ti West ti ha fatto innamorare. Pensare che la stessa attrice era “una delle tante”, un’anonima belloccia alla Michael Bay appunto, nel divertente, ma ikeano, Shark night 3d, quasi contemporaneo a questo ed assolutamente dimenticabile. Non che non ci siano i facili spaventi pure in questo film, ma sembrano disseminati più come contentino al pubblico, più come dimostrazione di fallibilità di un certo tipo di horror moderno: esemplare è la scelta di mostrarci, attraverso gli occhi della prootagonista, un filmato da youtube dove dopo 30 silenzio arriva uno spavento improvviso, roba da facile cardiolpalma e naturalmente antitetico alla costruzione della paura di questo film.
In The Inkeepers ci sono fantasmi cattivi e rancorosi, uomini anziani dal corpo sfatto che risorgono pieni di sangue, ma anche lunghi corrodoi vuoti dove l’orrore viene inquadrato più negli occhi dei due protagonisti, la Paxton e un collega, un po’ nerd, innamorato, mai confessato, di lei. Ecco che la decadenza dell’ambientazione, un hotel pronto ad essere demolito, si riflette nei suoi ospiti: una madre separata con un bambino, un uomo che ritorna in quei luoghi per ricordare una luna di miele passata e una vecchia attrice (un’irriconoscibile Kelly McGillins) dai poteri di medium. Anche il sesso viene abolito, i dialoghi sono lunghi, molto più delle scene d’azione che nel finale parodizzano la mania dei mocku alla Paranormal activity: è cinema snob, ma anche preziosissimo per chi riesce ad apprezzarlo, non per grandi masse di sicuro, ma cupo, spaventoso, coinvolgente se non lo si guarda con l’occhio distratto. E’ un cinema fatto di ombre più che di urla, di angoscia più che di budella, che diventa inaspettamente Quella villa accanto al cimitero di Fulci nell’epilogo, inevitabilmente nostalgico, ma necessario. The Innkeepers diventa quella sigaretta che finalmente assapori senza lo stress della pausa delle 10, senza finalmente nessun pensiero, sprazzo di un cinema che forse a nessuno interessa più, ma che immancabilmente rimpiangiamo.
About Andrea Lanza
Si fanno molte ipotesi sulla sua genesi, tutte comunque deliranti. Quel che è certo è che ama l’horror e vive di horror, anche se molte volte ad affascinarlo sono le produzioni più becere. “Esteta del miserabile cinematografico” si autodefinisce, ma la realtà è che è sensibile a tette e sangue.