Il romanzo d’esordio del maestro dell’horror: una storia agghiacciante, drammatica e a tratti struggente.
Carrie è il romanzo d’esordio di Stephen King, il libro con cui il maestro dell’horror, nel 1974, rivelò al mondo intero il suo immenso talento. L’opera ebbe una gestazione abbastanza travagliata, poiché dopo una prima stesura sotto forma di racconto, King decise di gettarlo via per niente convinto del risultato, ma in suo soccorso arrivò la moglie Tabitha (a cui poi sarà dedicato il libro) che lo convinse a lavorarci trasformandolo in un romanzo: «Cominciai a lavorare su Carrie come se si trattasse di un racconto, ma poi pensai che forse si poteva far bollire il tutto un po’ più a lungo prima dell’esplosione finale e, prima che me ne accorgessi, ecco che era diventato un romanzo. […] Devo essere sincero: non mi aspettavo molto da Carrie. Pensavo: “Chi vorrà mai leggere un libro su una poveretta afflitta da problemi mestruali?” Non riuscivo a credere di essere al lavoro su una storia del genere.» [1]
Il risultato di tali fatiche fu una storia agghiacciante, drammatica, a tratti struggente: Carrie White è un’adolescente di Chamberlain, piccola cittadina del Maine, dotata di telecinesi, il potere di spostare gli oggetti con la sola forza del pensiero, un potere che però per lei è stato sempre causa di sofferenza. Una mamma religiosamente esaltata ha infatti cercato di convincerla fin da bambina che la telecinesi non fosse altro che un abominevole “dono” del diavolo, così Carrie è soggetta a indicibili torture e ad assurde privazioni, in una casa simile a una prigione, finché un giorno, davanti all’ennesima umiliazione a cui è sottoposta da un gruppo di ragazzi, i suoi poteri si scatenano incontrollabili provocando dovunque orrore, distruzione e morte.
Carrie è una parabola sull’emarginazione e sulla solitudine degli adolescenti, un argomento molte volte affrontato da King nei suoi romanzi, basti pensare a IT o alla raccolta di novelle Stagioni Diverse, ma stavolta l’autore americano lo racconta mettendo sotto la lenta d’ingrandimento la vita di una ragazza apparentemente come altre, ma che nasconde un terribile segreto e una terribile sofferenza. Carrie è una ragazza sconvolta da una vita segnata dalle violenze subite tra le mura domestiche, una ragazza che vorrebbe vivere come le sue coetanee, ma che è inevitabilmente soggetta (o condannata) al volere dittatoriale di una madre in presa a visioni soprannaturali e a crisi mistiche. All’interno di questo triste paesaggio familiare e sociale, la telecinesi diventa così da un lato l’unica via di fuga da una vita priva di qualsiasi soddisfazione, e dall’altro un modo per imporre finalmente la propria volontà e liberarsi dal giogo materno.
In Carrie, curiosamente il romanzo più breve di King con le sue circa 170 pagine, lo scrittore affronta con ammirabile delicatezza, saggiamente alternata a esplosioni di gore e a momenti di vera suspense cinematografica, un argomento scottante e ancora oggi attuale, nonostante il libro sia stato scritto oltre trenta anni fa. E lo fa nella sia abituale maniera, vale a dire con un linguaggio semplice e scorrevole che permette al narratore di tratteggiare i personaggi con tinte precise, quasi come un pittore, e al lettore di immedesimarsi e parteggiare per uno o per l’altro. I protagonisti di Carrie vivono una vita propria, che spesso va al di là delle pagine stampate, uomini e donne che ognuno di noi potrebbe incontrare la mattina appena usciti da casa. Personaggi reali e palpabili che danno al romanzo una natura tangibile e moderna, emozionante e coinvolgente anche ad anni di distanza.
[1] Tim Underwood e Chuck Miller (a cura di), L’orrore secondo Stephen King, Mondadori 1999, p. 17
About Marcello Gagliani Caputo
Giornalista pubblicista, scrive racconti (Finestra Segreta Vita Segreta), saggi sul cinema di genere, articoli per blog e siti di critica e informazione letterario cinematografica, e trova pure il tempo per scrivere romanzi (Il Sentiero di Rose).