Le radici del cielo – Tullio Avoledo

Il primo romanzo ispirato all’Universo di Metro 2033 ambientato in Italia, a firmarlo Tullio Avoledo.

In Italia il genere apocalittico è ancora molto lontano dal rappresentare un punto di riferimento per i lettori, al contrario del resto del mondo in cui gode di una sua nicchia ben salda e strutturata. Non è un caso, quindi, che Tullio Avoledo, eclettico scrittore pubblicato tra gli altri da Einaudi, si ispiri alla saga russa Metro 2033 scritta da Dmitry Glukhovsky per il suo Le radici del cielo, pubblicato dal marchio editoriale Multiplayer.it.

Come altri romanzi ispirati all’universo creato da Glukhovsky, il nuovo lavoro di Avoledo è una rivisitazione del mondo raccontato dall’autore russo, ma ambientato per la prima volta in Italia, e racconta le vicissitudini di un gruppo di sopravvissuti che lasciano Roma per portare a termine una missione affidatagli da ciò che resta della Chiesa Romana. A guidare il gruppo il comandante francese Durand che, insieme al suo gruppo di guardie svizzere, ha il compito di scortare padre John Daniels fino a Venezia per recuperare il tesoro di San Marco.

Quello raccontato da Avoledo è un mondo distrutto dal conflitto nucleare che ha devastato l’intero pianeta costringendo i pochi sopravvissuti a rifugiarsi sottoterra per evitare le radiazioni. L’autore ci presenta il mondo (nel particolare Roma) da un duplice punto di vista: da un lato i sotterranei, nello specifico le catacombe di San Callisto, trasformatasi nella nuova casa degli uomini costretti a vivere in condizioni misere, quasi come i propri progenitori preistorici, senza che però ciò impedisca loro di cambiare le brutte abitudini; dall’altro una metropoli rasa al suolo, soffocata da una nube tossica e infestata da ogni tipo di creatura mutante e in cui qua e là sorgono altri presidi di sopravvissuti che vivono alla giornata, ricorrendo spesso a metodi non proprio ortodossi. Come qualsiasi apocalisse che si rispetti, però, tutto ciò non è servito a cambiare l’uomo che è sempre pronto, anche di fronte a situazioni così estreme, a dare il peggio di sé.

Il lavoro migliore, Avoledo lo fa però descrivendo Venezia, un vero luogo “altro” non solo perché strutturalmente modificata dalla tragedia nucleare, ma perché abitata da un nuovo popolo con cui padre Daniels avrà a che fare. L’esperienza del protagonista nella città lagunare è quasi un viaggio nell’al di là, fatto di sogni, incubi, strani incontri e battaglie apocalittiche e che si risolve un po’ come finiva Il pianeta delle scimmie di Franklin J. Schaffner e cioè con una rabbiosa presa di coscienza della nuova realtà post-atomica.

Memorabile anche il personaggio di padre Daniels, tratteggiato da Avoledo con mano esperta e sapiente, creando quasi un eroe da tragedia greca. Il viaggio che l’uomo intraprende non è altro, infatti, che un cammino nella fede, un mettere a nudo le proprie debolezze e a ripensare il concetto di religione di fronte a un cambiamento così radicale come quello che ha portato la Chiesa a scomparire quasi del tutto. C’è davvero un Dio a cui credere anche dopo un evento di carattere estintivo come quello della guerra atomica? Può Dio permettere il proliferare di creature deformi fuori da ogni umana accettazione? Può il semplice “libero arbitrio” giustificare il ricorrere a gesti estremi (ma ragionati nel tempo) da parte dell’uomo? Una risposta l’autore forse ce la da alla fine del romanzo, quando i personaggi arriveranno a Venezia dopo innumerevoli avventure, e a qualcuno potrebbe anche non piacere.

 

 

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