Quante quante quante parole sono state spese (e sprecate) per questa antologia di racconti, uscita originariamente nella collana Stile Libero di Einaudi e poi ripresentata, in occasione del decennale, nella collana Economici sempre dell’Einaudi.
Curata da Danile Brolli, contiene racconti di Nicolò Ammaniti, Luisa Brancaccio, Paolo Caredda, Matteo Curtoni, Matteo Galiazzo, Massimiliano Governi, Daniele Luttazzi, Stefano Massaron, Aldo Nove, Andrea G. Pinketts, Alda Teodorani. Un libro che ha visto la luce anche grazie al genio “commerciale” dei due curatori dell’Einaudi romana, Severino Cesari e Massimo Repetti.
La presentazione nelle librerie di una raccolta di racconti “horror” o presunti tali da parte di una casa editrice come Einaudi, solitamente dedicata alla letteratura “alta” non ha mancato di fare inorridire più di un “purista”, e fatto la momentanea felicità di chi da anni aspettava la comparsa di un seppur minimo segno d’interesse da parte della “classe editoriale” per la narrativa di genere italiana.
Si è assistito a una vera e propria “cannibalizzazione” alla notizia che i giovani (e meno giovani…) autori italiani si dedicavano a quel perverso sport che è la narrativa dell’orrore. La critica italiana letteraria ci ha messo lo zampino, schierandosi a favore o contro tale “fenomeno” con eguale virulenza. I giornali non aspettavano di meglio: titoloni come “Giovani scrittori, che ORRORE“, piazzato sulle pagine del Corriere della sera, con articolo a favore del fenomeno “cannibali” di Sebastiano Vassalli, che dice che questi scrittori “ci mostrano il mondo così com’è, e non come si vorrebbe che fosse. Ci mettono sotto gli occhi, nelle loro pagine, la violenza e l’orrore e lo squallore che molti cercano di coprire, nel presente.”, e l’articolo che fa da contrappunto, di Isabella Bossi Fedrigotti, che dice “ogni libro che sia vero, non finto […] è capace di smuovere, di agitare, di sollevare irrequietezze e disagi, di risvegliare paure e malesseri. Ci sono milioni di modi per ottenere questo risultato […]. Per qualcuno ci vogliono squartamenti e sangue, mentre a qualcun altro basta assai meno“, o “Cannibali con i denti da latte” dell’Unità si adoperavano in maniera fin troppo scoperta a creare delle etichette, che, bene o male, continueranno ad “affliggere” gli autori ben più a lungo della sopravvivenza nelle librerie della loro opera. Mai come in questo caso, la disinformazione ha avuto un ruolo determinante, per portare al successo un libro.
Etichette come pulp, horror, splatterpunk sono state dispensate a piene mani da critici che li ritenevano sinonimi da poter utilizzare indifferentemente, senza badare al senso filologico di ogni termine. Come detto da Giulio Mozzi in un articolo-recensione per la rivista Nautilus, che descrive chiaramente la differenza tra i vari termini (che, riassumendo brevemente, è la seguente: Horror è un termine classico, stretto parente dei racconti del mistero; splatterpunk è un collegamento funzionale tra il genere splatter, che mette sotto i nostri occhi gli effetti della vivisezione del reale, e punk, categoria politica del narrare, “motivata da un atteggiamento antagonista-anarchico”, mentre pulp indica una narrativa che si rifà “parodisticamente e ironicamente alla narrativa popolare di bassa qualità, usandone le strutture narrative elementari per rappresentazioni iperrealistiche”) in merito a questa questione: “cari critici, decidiamoci a usare queste categorie con un minimo di cognizione di causa, o almeno cerchiamo di trovare un accordo sul significato da attribuire convenzionalmente a ciascuna di esse”.
Per venire a tematiche di nostro specifico interesse: a dispetto del grande blaterare che si è fatto, vale la pena sborsare 9,80 dei nostri sudati euro per questo libro? A parere mio, sì.
Ci sono, è vero, alcuni racconti che non meritano poi molta considerazione, come quello di Luttazzi, parodia di alcuni “tratti” caratteristici dello stile di Bret Easton Ellis e il suo “American Psycho”, con brani del tipo “… divaricò le gambe di Cappuccetto Rosso e si accanì sulla sua vulva con un frullino elettrico Moulinex. Sfaldatale la mucosa vaginale in un etto di purpureo di macinato vivo…” e via dilaniando, che si appiattisce su una scrittura “a effetto” totalmente priva di guizzi inventivi, e quello di Aldo Nove (Il mondo dell’Amore), ma qui ammetto che entra in gioco una mia idiosincrasia per la prosa di questo valido autore, ma ci sono alcuni racconti che sono dei piccoli classici.
Le mie preferenze vanno ai racconti di Massaron (Il rumore), Galiazzo e Caredda. Sono tre racconti in cui l’orrore nasce piano, in maniera sequenziale (soprattutto nel racconto di Caredda, che dipana nello svolgersi della trama “un’atrocità ferreamente programmata“), ma che non mancano di lasciare il segno, dotati di quella rara qualità che permette alla narrativa di sopravvivere nella memoria a dispetto del tempo. Il racconto di Galiazzo, “Cose che io non so”, che narra della passione di una ragazza, figlia di testimoni di Geova, che si innamora di uno psicopatico di nome Josè, in prigione per avere stuprato e ucciso le sorelline sotto gli occhi dei genitori, gode di una prosa perfettamente funzionale al testo, permettendogli quindi di non scadere mai, nonostante il tema trattato, nel grandguignolesco ad effetto.
Massaron invece si rivela essere un autore che non ha bisogno di “effetti speciali” per inquietare. Un racconto, il suo, che non deve essere etichettato. E’ narrativa di classe, e come tale va considerato, lasciando nel lettore un leggero senso di straniamento: emoziona, e questo, a parer mio, è il miglior complimento che si possa fare a un racconto. Assomiglia, come effetto finale, senza voler peccare di “lesa maestà”, al racconto “L’ultimo piolo” tratto dalla raccolta “A volte ritornano” del grande Stephen King.
A ogni modo, anche i racconti di Ammaniti e Brancaccio (letto dall’autore e dall’autrice in anteprima al Festival di Reggio Emilia “Ricercare 96″), di Governi, Curtoni, Pinketts e Teodorani meritano di essere letti, e dimostrano, una volta per tutte, che anche noi italiani, se vogliamo, possiamo scrivere “nero” che più nero non si può.
About Giuliano Fiocco
Ha visto nascere Horror.it, e l’ha accudito per lungo tempo assieme ad Andrea. Adesso la vita gli lascia poco tempo per le passioni, ma in un angolo oscuro del cuore rimane in agguato la voglia di scrivere. Ha scritto un romanzo, da cui è stato tratto un film, in fase di produzione.