Tre romanzi brevi ispirati ai grandi autori del gotico-horror, una prova incoraggiante ma che lascia parecchi dubbi sulla scelta stilistica dell’autore.
La pubblicazione da parte di Perdisa Pop di Tre volte all’inferno porta con sé due ottime notizie: la prima è che sempre un maggior numero di case editrici italiane mostra attenzione verso il genere horror-gotico e la seconda è che le raccolte di racconti cominciano a crearsi un’interessante nicchia di mercato.
Con la sua seconda opera (la prima è stata un’altra raccolta di racconti, Ora di vetro con Montedit) Borghetti mette insieme tre romanzi brevi chiaramente ispirati alle esperienze che hanno avuto in Poe e Lovecraft i maggiori esponenti, senza però riuscire a incidere. Nonostante gli spunti interessanti da cui prendono il via le storie, Borghetti sceglie (sbagliando) di provare a imitare un linguaggio e uno stile d’altri tempi, finendo per abusare di aggettivi e infarcendo il libro di concetti ridondanti, rendendo per lunghi tratti la lettura noiosa.
In quest’ottica, il primo racconto (Il bacio di Medusa) finisce paradossalmente per essere il peggiore, proprio a causa di uno stile astruso che confonde e complica una storia dal buono potenziale e che per brevi tratti ricorda capolavori come Il mastino dei Baskerville di Conan Doyle. Il secondo, Il canto di Lucifero, è il migliore: una storia ambientato nella Belle Epoque parigina dove un autore di teatro assiste a una strage durante la rappresentazione del suo spettacolo, andando incontro a un incubo terrificante, nelle mani della Santa Inquisizione. Borghetti qui sembra dare il meglio di sé, insistendo sempre troppo nella ricerca stilistica e nell’utilizzo di un linguaggio desueto (è probabile che un lettore medio possa trovarsi in difficoltà a seguirlo), ma costruendo comunque una bella trama in cui la descrizione degli ambienti e dell’atmosfera di caccia alle streghe imposta dall’Inquisizione (presente anche in Il bacio di Medusa) sopraffanno gli stessi personaggi. L’ultimo racconto, Il labirinto del basilisco, è il più visionario, un’autentica discesa negli inferi, ma anche qui purtroppo la scelta stilistica dell’autore penalizza una storia tutto sommato affascinante.
Per essere alla sua seconda prova, Borghetti è comunque da apprezzare, ma speriamo che in futuro, leggendo altre sue opere, l’autore provveda ad aggiustare il tiro e trovi uno stile proprio, senza contaminazioni o tentativi di imitazione. Leggendo Tre volte all’inferno è chiaro che il talento c’è (se non fosse stato così, Perdisa Pop difficilmente lo avrebbe scelto), adesso bisogna lavorare sullo stile, perché se vogliamo davvero parlare di horror italiano contemporaneo, non è al passato che dobbiamo fare riferimento. Ma al presente (se non al futuro).
About Marcello Gagliani Caputo
Giornalista pubblicista, scrive racconti (Finestra Segreta Vita Segreta), saggi sul cinema di genere, articoli per blog e siti di critica e informazione letterario cinematografica, e trova pure il tempo per scrivere romanzi (Il Sentiero di Rose).