C’era una volta l’oscuro Medioevo, con le streghe, i demoni, le più varie creature mitologiche, e i biechi assassini e ladri di tombe.
E anche se ormai abbiamo scoperto che in fondo non tutto quel che è medievale è oscurantista (e questa è storia), il Medioevo resta pur sempre un periodo ricco di un immaginario oltremondano assai forte e di un fascino macabro tutto particolare e sempre vivissimo.
L’ha capito benissimo Jesse Bullington, giovane autore americano esordiente, che ci delizia con “La banda del cimitero – la triste storia dei fratelli Grossbart“, un insolito romanzo che oscilla tra biografia e leggenda, e che si basa sulla presunta vita dei grotteschi gemelli Grossbart, due antieroi vissuti nel cuore dell’Europa nell’Anno del signore 1364.
Di “mestiere” Manfried ed Hegel depredano tombe, ma non disdegnano di rapinare anche i vivi, impegnandosi con singolare barbarie a sbarcare il lunario. Informati dell’esistenza di un paese in cui le case dei morti sono enormi e letteralmente straripanti di ricchezze, i due fratelli si incamminano alla volta del mitico Egitto (o Gitto, come lo chiamano loro) per conquistarsi la loro definitiva fortuna. Attraversano così picarescamente l’Europa delle foreste, dei monasteri, dei viandanti mistici, delle streghe e delle creature mitiche del Bestiario medievale, incontrando puntualmente una bella rappresentanza di personaggi fra i più singolari, tra cui una bruttissima strega vendicativa e assetata di sesso, una meravigliosa sirena, un monaco decisamente alternativo, e perfino la Peste Nera, mettendosi puntualmente nei guai più intricati, spingendo sempre oltre la loro fortuna, fino a un finale inaspettato e nient’affatto deludente.
La storia così come la tesse Bullington ha un intreccio vivace e abbastanza originale. Lo stile punta su un ritmo e un linguaggio che riecheggino il più possibile quello vetusto delle leggende antiche, pur senza rinunciare ad espressioni moderne, anche a rischio di creare a volte qualche spiacevole attrito stilistico, e di rallentare i dialoghi e le vicende (complice anche una traduzione italiana in alcuni punti un po’ poco felice).
L’impasto che caratterizza i Grossbart, tra lo stupido contadino medievale e il moderno furbetto di quartiere, a tratti è un troppo intriso di una ingenuità che fa sorridere, ma sappiamo che l’autore è ai suoi esordi e contiamo che le future prove lo rendano più raffinato nel gestire le scelte narrative.
Per il resto il romanzo ha un buon impianto, tanto cinismo, molte scene splatter della miglior scuola (tra cimiteri di notte, mostri orripilanti, stregonerie infernali), un attacco roboantemente “nero” e, come si diceva, una fine degnissima e ironicamente sorprendente. L’entusiasmo rallenta forse verso i tre quarti dell’opera, quando il viaggio dei Grossabart verso l’Egitto sembra quasi parodiare le avventure piratesche riproposte dalla recente cinematografia hollywoodiana. Lo si supera comunque indenni.
La triste vicenda dei diabolici gemelli, tutt’altro che triste almeno per come è narrata, è una classica fiaba nera post-moderna e sarà gradita non solo ai lettori sempre in cerca di nuovo materiale da brivido, ma anche ai lettori appassionati dei libri d’evasione. Dopo di che non ci resta che aspettare il nuovo titolo, anche questo ambientato in un periodo storico controverso: l’età dell’Inquisizione spagnola. Che dire, promette benissimo.
About Simona Bonanni
Simona da piccola aveva paura dei vampiri, oggi non ne può più fare a meno, a costo di incappare in libri e film di discutibile qualità. Artisticamente onnivora, è attratta da tutto ciò che è strano, oscuro e singolare. Divora pagine in gran quantità, scrive, fotografa, crea e dà molto credito a tutto quello che le passa per la testa. Ma l’unico che l’ascolta è il suo gigantesco gatto nero.
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