Pig è un’opera davvero oscena che si dimentica in fretta, ma ti fa odiare per quei 70 lunghi minuti il genere che ami di più, l’horror.
Pig è la storia di un uomo lercissimo e disgustoso che aiutato da una donna ritardata e incinta sevizia, tortura, umilia, stupra e quant’altro una coppia di ragazzi. Mangia escrementi, si spalma di sangue, prepara cibi che nessuno vorrebbe mai mangiare e si veste da donna facendo vivere alle povere vittime un’odissea di follia demente agghiacciante.
Adam Mason, promessa del cinema indipendente horror americano, è un’incognita: non si sa mai se il suo prossimo film sarà ottimo o pessimo, senza passare per vie secondarie. La sua opera d’esordio, Broken, era un disastro: uscita in tempi di massima popolarità di torture porn alla Saw mischiava con sciattezza un plot da thriller con tutto l’armamentario sadico del genere (oggetti nascosti nella carne, umiliazioni alla protagonista, scene di insostenibile violenza) senza riuscire a non generare noia o fastidio nello spettatore. Per chi scrive Mason era già tacciato di essere un pessimo regista, ma poi la seconda opera era, come direbbe il James Van Der Beek di Le regole dell’attrazione, rock n’ roll! Un plot all’apparenza stupidissimo, per di più baciato da una pessima fotografia e da un digitale di seconda mano (marchio delle povere produzioni del regista), riscattato però da un finale che ribaltava le carte messe sul tavolo facendo rileggere l’opera sotto un punto di vista diverso, interessante e non banale. La sedia del diavolo infatti, più che un classico film horror, è un potente saggio sul potere della narrazione e sulla credulità del pubblico. Il terzo film, Blood river, inferiore almeno come tema al precedente, si rivelò un ottimo western soprannaturale che, a differenza di Broken, riusciva ad abbracciare il torture porn senza essere mai banale. In queste ultime opere spicca poi un grande e poco conosciuto attore, Andrew Howard, di una bravura sorprendente, gigionesco senza cadere nel manierismo alla Al Pacino, intenso e dalle molte sfumature recitative.
Non abbiamo ancora visto il quarto film di Mason, Luster, per ora reperibile solo in pessime copie in rete, ma il film successivo Pig è il ritorno del regista ai biechi risultati degli esordi. Girato in un unico (finto) piano sequenza di 70 minuti, Pig è il non cinema, l’attaccarsi ad una storiella striminzita per un tempo esiguo, ma parossisticamente dilatato dalla noia, usare il sadismo e le torture per riempire il metraggio minimo. La regia è sotto il livello di guardia, si adagia nell’idea del piano sequenza unico, ma non è nè un mockumentary alla Rec nè ha la potenza visiva de La casa muda, altro pessimo film girato senza stacchi, ma dalla tecnica formidabile. Pig è il nulla, un pasticciaccio fastidioso che non sa mai dove andare a parare e per camuffare il suo vuoto fa urlare forte i suoi quattro attori come un esperimento di cinema esasperatamente coattesco. Si possono trovare echi, almeno a livello epidermico, di una certa bizzarria selvaggia alla Non aprite quella porta di Hooper, il dolore reale delle vittmie, il rapporto con l’ambiente selvaggio ad un passo da mondo civilizzato, l’oscena trasfigurazione del nucleo famigliare in un ritratto blasfemo, ma si tratta di poca cosa e tutto mal realizzato. Andrew Howard fa certo la parte del leone con la macchina da presa sempre su di lui, ma alla fine tanta bravura resta sprecata per un film che non ci risparmia un ribaltone alla Brett Easton Ellis neppure malvagio, ma già visto sicuramente, e fuori tempo massimo dopo ben 69 minuti di sbadigli e tentazioni del fast foward. In America Pig è stato lanciato prima in rete e poi in tempi più recenti in dvd, si può apprezzare lo sforzo di Mason di girare a tutti i costi un film malgrado le mille traversie produttive, del non farsi scoraggiare dai budget bassi, del cercare di non essere omologato alle storielle usa e getta scegliendo non la commercialità, ma il sangue, le torture e la violenza. Peccato che Pig sia la strada sbagliata, un’opera davvero oscena che si dimentica in fretta, facendoti odiare per quei 70 lunghi minuti il genere che ami di più, l’horror.
About Andrea Lanza
Si fanno molte ipotesi sulla sua genesi, tutte comunque deliranti. Quel che è certo è che ama l’horror e vive di horror, anche se molte volte ad affascinarlo sono le produzioni più becere. “Esteta del miserabile cinematografico” si autodefinisce, ma la realtà è che è sensibile a tette e sangue.