Morituris è è quel cinema con la C maiuscola che uscendo fuori dalla sala ci fa dire: “Evviva” per la prima volta dopo tanto tempo.
Le vie del cinema horror sono infinite, un po’ come quelle del Signore. Per non contare quelle dell’horror italico che rasentano molte volte il miracolo insperato. Ne fanno così tanti di piccoli film, validi più o meno, i vari Come una crisalide, In the market, Il bosco fuori, fantasmi di un’epoca che fu e probabilmente non ci sarà mai ancora, gli anni 70, gli 80 gloriosi della nostra scuola italica con i Fulci, i Lenzi, i Fragasso a creare dal saccheggio opere mostruosamente belle anche nella loro follia anarchica.
Ne fanno così tanti di piccoli film horror che seguirli tutti diventa utopia, poi c’è sempre qualcosa che non va: la recitazione, il plot, i mezzi inadeguati alle ambizioni e voilà ecco che ci troviamo a dire molte volte “E’ un bel film” senza aggiungere che poteva essere meglio. Ecco: siamo diventati come mariti pantofolai seduti nella nostra bella poltrona a fare zapping mentre mogli annoiate sognano stalloni dalle chiome furiose. Ecco: ci siamo abituati al niente e ogni volta qualcosa si muove attira la nostra attenzione. Non saremo mai come i prodotti miliardari di Michael Bay, non avremo mai probabilmente lo stesso eco internazionale di un Poete du macabre, ma cazzo è bello vedere che pur morendo lottiamo.
Ogni nostro film, piccolo o grande che sia, è rivoluzione, è l’urlo di Franco Nero in “Vamos a matar companeros”, è il nostro Io esisto contro le chiacchere da forumisti su “Come erano belli gli anni che furono”, ma i treni arriveranno sempre in ritardo purtroppo. Per questo sapere che ogni tanto in Italia qualcosa si muove nel sottobosco cinematografico è bello, ci esalta, anche se purtroppo ogni volta ci lascia un terribile amaro in bocca. Per questo Morituris arriva come un fulmine a ciel sereno perchè bello, crudele, ben scritto e cazzo pure ben recitato, materie di primo piano in un panorama del o c’è questo o c’è quello. Non ci credi quasi che sia l’opera prima del regista Raffaele Picchio: non un movimento di macchina sbagliato, non un’inquadratura stanca o buttata lì, si cita pittorescamente la Pietà del Michelangelo, si ripropone la Passione del Cristo in un’ottica visivamente blasfema, c’è un approccio quasi bambino di scoperta dell’immagine che forse abbiamo perso con gli anni.
E il rapporto sceneggiatura/regia è in stato di grazia: lo script di Gianluigi Perrone, ad un primo approccio lineare, è elegante nella costruzione dei dialoghi mai banali anche nel parlato comune, efficace per come giostra la psicologia dei personaggi in crescendo durante il racconto, non cade nel già visto quando mette in scena questi potenti personaggi da proto slasher, i gladiatori, ponendoli su un piano umano di riproposta di gesti passati. Morituris è un film cattivo, crudele, imbastardito come gli atti dei suoi personaggi, ha sterzate di critica sociale inattesa come l’arrivo di un branco di belve da massacro che riportano cronache nere passate, non si ferma all’immagine carina, ma sporca tutto lo schermo di calci, pugni, sangue e sperma in attesa dell’arena finale all’ombra del ricordo di un imperatore. Non c’è differenza alla fine, se non nel ribaltamento di classi sociali, tra questi guerrieri d’arena, gli schiavi idolatrati dal pubblico romano, e questi nuovi mostri, i figli degli arricchiti, dei politici, della Roma che conta, che sniffano benzina per sentirsi miserabili, che usano la cultura come armi per spogliare le proprie vittime e ferocemente scoparle a lama di coltello. Non c’è differenza se non nell’onore che muove alla fine i gladiatori, un’etica che il tempo ci ha negato e che crudelmente azzera buoni o cattivi senza possibilità di empatia alcuna se non nelle vittime. Certo gli effetti speciali di Sergio Stivaletti alcune volte sono distratti, l’inserimento di un sotto plot di per fortuna brevissima durata con Francesco Malcom è inutilmente sadico, superfluo e questo sì recitato da cani, ma sono cazzatine che non sviliscono l’opera. Morituris con il corpo di Desirèe Giorgetti generosamente mostrato e martirizzato, con l’uso di un bosco come dimensione parallela, con la splendida fotografia favolistica di Daniele Poli, con il sangue che bagna copioso la statua della Dea Nemesis, con Valentina D’Andrea che parla di Ecate prima del massacro, ma non solo, è quel cinema con la C maiuscola che uscendo fuori dalla sala ci fa dire: “Evviva” per la prima volta dopo tanto tempo. E così ci sentiamo anche noi leoni.
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About Andrea Lanza
Si fanno molte ipotesi sulla sua genesi, tutte comunque deliranti. Quel che è certo è che ama l’horror e vive di horror, anche se molte volte ad affascinarlo sono le produzioni più becere. “Esteta del miserabile cinematografico” si autodefinisce, ma la realtà è che è sensibile a tette e sangue.