L’autore di questa recensione, pur rischiando di scadere nell’ovvietà (o nell’eresia, a seconda dei punti di vista) desidera, in apertura, ribadire un concetto espresso fino allo sfinimento sulle pagine di questo sito: scrivere horror è difficile.
«Resta un dato di fatto, secondo me incontrovertibile: la letteratura comunemente definita fantastica è incommensurabilmente più ricca di possibilità di quella mimetica, ma è anche molto più difficile da fare. Ed è più difficile sia perché lo scrittore/giocoliere ha molti più birilli da far volteggiare in aria con adeguata maestria, sia perché il lettore contemporaneo è naturalmente portato al mimetico».
Così affermava Luigi De Pascalis nell’introduzione a un’antologia che, per motivi squisitamente personali, sta particolarmente a cuore a chi scrive. E se è vero che, in generale, la costruzione di una macchina narrativa efficiente impegni duramente l’autore di letteratura fantastica, limitarsi all’ambito della narrativa dell’orrore pone forse, per un’infinita serie di ragioni che non è il caso di elencare di seguito, pena il tedio inammissibile del lettore, problemi ancora più grandi. Soprattutto – ed è questo il nostro caso – qualora si decida di cimentarsi con figure leggendarie.
Perché?
Perché il mito ha continuamente bisogno di nuova linfa per restare vivo. Necessita rivoluzioni, capovolgimenti, sovvertimenti, anche a costo di sperimentazioni avventate e altamente rischiose.
Vampiri, zombie, streghe, mummie, licantropi e chi più ne ha più ne metta. Quante risme di carta hanno già macchiato con la loro presenza? Da quante penne le loro ignobili azioni sono state raccontate? In quanti incubi sono già apparsi, per non regredire ormai al rango di inoffensivi spauracchi?
Senza la ferma, cieca volontà d’innovare, senza la guizzante forza di un’idea inedita o di trovate brillanti, anche il più talentuoso degli autori dovrebbe forse rivolgere altrove il suo sguardo. Altrimenti, rischia di trovarsi a trattare una materia già morta (d’accordo, in caso di simili creature, l’espressione va letta in senso figurato) in partenza, che difficilmente riuscirà a catalizzare veramente l’attenzione del lettore, e che non avrà possibilità alcuna di lasciare il segno.
Sia d’esempio la più o meno infinita carrellata di romanzi sui vampiri pubblicata nei mesi scorsi. Tralasciando le leggi di mercato, e le ancor più mutevoli opinioni degli addetti ai lavori (e, aggiungerei con una punta di amarezza, di una consistente fascia di lettori) è forse il caso di porsi una semplice domanda: quanti di quei libri avevano qualcosa, non da dire, ma da aggiungere all’argomento? Quanti alberi i boschi avrebbero potuto conservare senza che noi amanti del genere fossimo privati di alcunché?
Consolandoci con alcune, isolate gemme – Ho freddo di Manfredi su tutte – conviene forse non andare a fondo e lasciare sospesa la domanda.
Il lettore, spazientito, comincerà ora a chiedersi quando mai l’impertinente e farneticante recensore si deciderà a parlare del libro in questione, vale a dire il romanzo d’esordio del giovane D. F. Lycas, Lunaris – Dal diario di un licantropo. In realtà ne abbiamo parlato finora, analizzando quello che è il suo principale punto debole. Ma vediamo di essere più concreti.
Lunaris racconta le vicende di Lika, giovane copywriter che, in seguito ad un incontro amoroso, scopre di subire delle inquietanti mutazioni durante i periodi di Luna Piena. Incalzato da una fame sempre crescente (emblematici e decisamente simpatici i siparietti con il macellaio sotto casa) ma più che mai deciso a risalire alle origini del maleficio che l’ha colpito, si cimenta in una lunga indagine che fa della lettura il suo punto di forza. Trovare le risposte è indispensabile, anche per scongiurare il timore di essere l’inconsapevole autore dei delitti che insanguinano la città.
Lunaris è un libro di luci e ombre, dove – purtroppo – sono le seconde a prevalere. Oltre all’incauta – o, perché no, coraggiosa – scelta dell’argomento, della quale abbiamo già a lungo discusso, il libro di Lycas non convince sotto altri aspetti. Se, da un punto di vista strutturale, la forma diaristica rappresenta un campo assai agevole per incursioni introspettive, in Lunaris questo avviene a discapito del ritmo della narrazione. Digressioni e flashback troppo invadenti cristallizzano l’azione e spezzano il filo narrativo senza essere funzionali, o meglio indispensabili, ai fini della storia.
E se l’eterogeneità stilistica è spesso l’asso nella manica di libri deboli sotto diversi di vista (che si tratti di struttura, trama, contenuti e via dicendo) in Lunaris assume caratteri stridenti e in alcuni casi addirittura stranianti, specie quando si tenta il virtuosismo spezzando il periodo.
Ad esempio:
«Una volta da bambino ho visto una tigre. Vera. Dentro una gabbia. Vera. In uno zoo. Vero. Solo quella volta ho visto una tigre. Era nervosa. Passeggiava su e giù per quei cinque metri di cemento». (pagina 43)
«Si avvicina di nuovo. Appoggia una mano sul mio petto. Il contatto. La sua mano sul mio cuore. TU-TUM TU-TUM TU-TUM. Il mio cuore che corre e corre. Luce che quasi si aggrappa alla mia giacca. Sale sulle punte dei piedi. E mi bacia. Mi bacia in modo rumoroso. SMACK! Le sue labbra mi lasciano un po’ d’umido sulla pelle. SMACK! Ho l’impressione che questo bacio possa sentirlo tutta la città. Peggio di quella maledetta serratura. Un bacio rumorosissimo. SMACK! Un bacio profumato. Di dolce. Profuma di vaniglia e fiori». (pagina 50)
«Dice di essere una strega. Benissimo. E chi se ne frega, dico io. Le parlo, la convinco del fatto che io non ho ucciso nessuno, e le dico ciao. Lei dice “non ti credo”, e le dico ciao. Lei dice “vado alla pula”, e le dico ciao. Le dirò ciao comunque. Allora, perché sto andando da lei? Certo, se fosse davvero in grado di capire certe cose. Voglio dire, e se le streghe esistessero davvero? Perché non dovrei crederci? Credo a me stesso.
Poi devo chiamare il Dottore. Cazzo, no, il cellulare è scarico. Ok, non importa, vado nel suo studio». (pagina 99)
Anche il tono didascalico con cui vengono esposte informazioni circa le creature leggendarie che popolano il libro appare talvolta fuori luogo:
«Il termine berserk deriva dalle parole bear (orso) e sark (pelle). Antiche leggende descrivono i berserker quali guerrieri indomiti, dotati di una furia irrefrenabile che li rendeva ciechi al dolore e privi di misericordia. Si dice che in battaglia indossassero pelli di orso come unica protezione. Altre fonti parlano dei berserker come di creature leggendarie realmente dotate del potere di mutazione in uomini-orso, simili ai licantropi ma assai più violenti e distruttivi. In alcune versioni dell’antico poema nordico La saga di Egil, si narra del primo epico scontro fra il berserk Skalla-Grimm e suo figlio, il licantropo Kveld-Ulf». (pagina 64)
Si potrebbe obiettare, naturalmente, che un simile nozionismo, dal sapore vagamente wikipediano, possa non stonare nel contesto di un diario e che anzi, prendendo le distanze dalla finzione letteraria, contribuisca a conferire al testo profondità e verità. Eppure, è possibile che non ci sia altro modo per elargire nozioni circa la natura di queste creature? Se, come si potrebbe supporre, si tratta anche in questo caso di una scelta stilistica, essa finisce per penalizzare il lettore, che da un testo di narrativa viene catapultato, anche se solo per pochi paragrafi, in qualcosa di simile a mera saggistica.
Ad ogni modo, nonostante i difetti fin qui elencati, Lunaris non è un libro da bocciare su tutta la linea. Tralasciando ora ogni considerazione circa l’intraprendenza o il coraggio dell’autore (troppo spesso, ahimè, sinonimi di imprudenza e leggerezza) nei confronti della materia trattata, questo “Diario di un licantropo” presenta pregi da non sottovalutare.
Intanto mantiene la sua promessa – implicita, ma non per questo scontata – di appartenenza al genere. Il romanzo d’esordio di Lycas non cede alle tentazioni di sterzate improvvise verso altri, allettanti lidi e resta un horror fino alla fine. Sembra anche questa un’ovvietà, ma domandatevi quanti autori resistano al capriccio di mescolanze e contaminazioni. Lunaris non inganna, non cambia volto, e per il sottoscritto questo è già un piccolo successo.
Sorprende poi, soprattutto se si considerano le ingenuità sopra descritte, la facilità dell’autore di evocare dal nulla immagini nitide e perfettamente credibili.
Un esempio, da pagina 98:
«Se ne stanno intrappolati sull’asfalto come insetti sopra la carta moschicida; siedono all’ombra degli androni o nei dehors dei pochi bar ancora aperti, e ti guardano passare. Mi guardano passare sulla mia vecchia utilitaria, il finestrino abbassato per fare entrare un po’ di fresco, l’autoradio che canta una canzone hard metal di cui non conosco il cantante né mi frega di conoscerlo. I cittadini mosca mi seguono con lo sguardo, bandolieri estivi assetati di niente, mi scrutano, mi spiano. Provo un improvviso senso d’inadeguatezza».
Parentesi visionarie come questa, pervase da un lirismo niente affatto stucchevole, fanno davvero ben sperare per il futuro. Non c’è dubbio che l’autore di Lunaris abbia le carte in regola per fare molto, molto di meglio. Non resta dunque che attenderlo, fiduciosi, alla prossima prova.
Chiuso.
Sei giorni, sette ore, ventidue minuti e dieci secondi.
Undici.
Dodici.
Tredici…
TOCK TOCK.
Sollevo la testa dal laptop. Hanno bussato? Mannò, figuriamoci. La musica dello stereo è altissima. Mi morde i timpani soffocando le percezioni. Ho sentito male. Sono gli acuti del tweeter che mi confondono. E i bassi che bussano. Solo questo. È soltanto la mia immaginazione. Sollecitata. È per questo che non posso rinunciare a tutti questi decibel. Mi stordiscono, e mi piace. Una volta pompare il volume non mi faceva questo effetto, così, tipo… droga. Sì, mi sballa.
TOCK TOCK!
L’AUTORE
D.F. Lycas è nato ad Asti nel febbraio del 1973. Vittima di una irrequieta propensione all’immaginario, sceglie studi prettamente informatici, affascinato dalle possibilità che computer e nuovi media possono offrire ai naviganti del fantastico.
Appena maggiorenne, dopo una breve parentesi giornalistica, decide definitivamente che la realtà non può competere con l’irrazionale. I suoi scritti abbandonano, da questo momento, qualsiasi ambizione cronografica.
Ha già pubblicato racconti, vinto concorsi, partecipato alla sceneggiatura di fumetti. Lunaris è il suo primo romanzo.
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