“Ho prodotto e girato film per la televisione svedese per più di vent’anni, e questa è in assoluto la mia prima esperienza registica con il genere horror“.
Dalle colonne di Twitchfilm.net, Tomas Alfredson ci parla della trionfale esperienza festivaliera del suo Let The Right One In, della genesi del progetto e ci spiega perchè, vampiri permettendo, il suo non sia da considerarsi (solo) un film horror. Nelle sale italiane non prima del 2009.
Quant’è importante per un filmmaker vivere l’esperienza dei circuiti festivalieri, e cosa ha rappresentato per te il successo al Tribeca Film Festival (dove Let The Right One In ha vinto il premio come Best Narrative Feature)?
Quella di poter girare il mondo grazie al proprio lavoro è ovviamente un’esperienza fantastica. Ma il mondo dei festival può nascondere terribili insidie: arrivi in posti sconosciuti dopo 10 ore di viaggio e ti piazzano in uno squallido hotel, dove non puoi fare altro che sederti sul letto ad imitare Bill Murray in Lost in Translation. Nessuno ti dice cosa fare e dove farlo. Ti invitano a noiosi party di promozione degli sponsor dove, silenziosamente appartato in un angolo, ti ritrovi a consumare cibo scadente e bevande orribili, come un timido idiota svedese con al collo un cartellino indicante il proprio nome. Nessuno ha visto il tuo film, ma tutti ne hanno sentito parlare e garantiscono che, forse, in futuro lo vedranno. Le proiezioni sono orribili e sempre in ritardo, con gente che continuamente entra ed esce dalla sala, e durante le interviste nessuno fa domande, a parte il moderatore che sbaglia sistematicamente la pronuncia del tuo nome. E allo stesso tempo può essere un’esperienza fantastica, emozionante e professionalmente appagante, piena di incontri e scambi di idee importanti. Ed aver ricevuto il premio dalle mani di Robert de Niro resterà un momento indimenticabile.
Uno dei meriti riconosciuti al tuo lavoro su Let The Right One In è quello di essere riuscito ad affrontare le tematiche sovrannaturali ed orrorifiche del testo con un profondo senso di realtà e di naturalezza. Come ci sei riuscito?
Ho prodotto e girato film per la televisione svedese per più di vent’anni, e questa è in assoluto la mia prima esperienza registica con il genere horror. Il mio scopo era proprio questo: riuscire a dirigere una storia che fosse indiscutibilmente horror dandogli un taglio di assoluta naturalezza e credibilità narrativa. Rispetto al romanzo, il segreto è stato omettere la maggior parte delle suggestioni grafiche e fantastiche legate all’immaginario vampiresco e, nel caso in cui ometterle risultasse deleterio, di affrontarle nella maniera più cupa, essenziale e asciutta possibile.
Si dice che l’idea del film ti abbia conquistato non appena hai finito di leggere il romanzo, un vero e proprio colpo di fulmine. Cos’è che ti ha fatto pensare “Da questo romanzo devo sviluppare un film a tutti i costi“?
L’aver affrontato io stesso momenti difficili durante il periodo scolastico: quello che mi ha colpito più intimamente è il modo diretto e spietato con cui viene delineata la figura di Oskar, il bambino vessato dai bulli.
Spesso i registi accusano parecchie difficoltà nell’adattare romanzi per il grande schermo. Qual’è stato il più grande ostacolo che hai incontrato in questo frangente?
Quello di riuscire a mantenere e a riproporre degnamente la particolare atmosfera, gelida ed alienante, dei sobborghi di Stoccolma dei primi anni ’80 senza scadere nel tranello della nostalgia. E’ curioso, perchè questa è una storia che funzionerebbe in qualsiasi altro posto ed in qualsiasi altro momento storico, ma per me era fondamentale che fosse ambientata in quel luogo ed in quel periodo, proprio come ha voluto l’autore del romanzo. E’ la sua specificità a renderla veramente universale.
Quella del vampiro è una delle figure più inflazionate e stereotipate del panorama filmico horror: negli anni ha assunto forme, atteggiamenti e contorni ben delineati, e, generalmente, il pubblico che si appresta a vedere un film sui vampiri sa a cosa va incontro. Questa condizione oggettiva ha influenzato in qualche modo le tue mosse nel delineare questi vampiri?
La triste verità è che per quanto riguarda vampiri ed affini, sono un totale ignorante. Non ho una cultura in merito, nè letteraria tantomeno cinematografica. Quindi mi sono totalmente affidato alle conoscenze di John (Ajvide Lindqvist, autore dell’omonimo romanzo e cosceneggiatore della pellicola). Per quanto mi riguarda, ho sempre pensato che nel morso del vampiro ci fosse una forte componente sessuale – la bella che trasforma se stessa on bestia – In questo film invece non c’è alcuna matrice sessuale, e la necessità di nutrirsi con il sangue è una pura questione fisiologica: in fondo la mia è una classica storia d’amore tra teenager.
Un’altra caratteristica tipica delle più recenti pellicole sui vampiri è il robusto ricorso ad un montaggio vertiginoso, scene serrate, ultimi ritrovati della CGI. Il realismo action di Let The Right One In invece sa essere orrorifico e efficace senza apparire artificiale o stilisticamente eccessivo…
Non amo particolarmente il ricorso alla CGI, per quanto in questo film ci abbia decisamente aiutato in alcuni passaggi. Ma nessuno sembra accorgersene, quindi abbiamo fatto un ottimo lavoro! Nulla mi annoia di più che spendere delle ore con qualche tecnico nel tentativo di risolvere una qualche questione puramente visuale senza che si possa affrontare il frangente comunicativo. Ho sempre preferito avvicinarmi ad essa con cautela, e privilegiando altre soluzioni.
Let The Right One In è un perfetto esempio di film su più livelli: c’è una componente tragica, una horror, c’è un costante ricorso ad uno humor macabro, eppure lascia trasparire un messaggio di positività e speranza. E’ un film che può colpire nel segno sia con chi si accontenta della superficialità della narrazione, sia con chi preferisce andare più a fondo. Cosa ne pensi di questa non facile catalogabilità del tuo lavoro?
Non credo che spetti ai registi inserire i propri lavori in una qualche categoria; genere è una definizione importante solo per gli addetti al marketing. Ho la naturale tendenza a complicare le cose il più possibile, è questa la mia cifra stilistica. Categorizzare è importante per chi è il mio esatto opposto.
Che tipo di film vorresti dirigere in futuro?
Progetti che non pensavo sarei stato in grado di affrontare, proprio come Let The Right One In.
About Andrea Avvenengo
E’ nato nel terrore spiando Twin Peaks alla TV. Il tempo ha messo in fila passioni su passioni, raffinando (o imbarbarendo?) i gusti, ma senza mai scalfire la capacità del cinema fantastico di scaraventarmi indietro nel tempo, la mani davanti agli occhi, terrorizzato e fottutamente felice.
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Autore: Andrea Avvenengo
ott 29, 2008
Last Updated dic 30, 2010