Il film di Stephen Kay, prodotto, ahimè, dal troppe volte “perso per la strada” Sam Raimi, assieme a Rob Tapert per la loro compagnia Ghost House Pictures, può essere utilizzato in qualsiasi corso di tecnica cinematografica per fare sì che i discenti si rendano conto di come non deve essere fatto un film dell’orrore.
E’, forse, la sua unica ragione d’essere.
Premetto che la delusione che si prova nel guardare un film è direttamente proporzionale alle aspettative che si nutrono per lo stesso, e in questo caso le mie erano sicuramente sovradimensionate.