Stufi dei soliti zombi ciondolanti, lenti e anche un po’ presuntuosi? Allettati dall’idea di qualcosa di più senziente e organizzato, senza cadere nella trappola degli “infetti” stile Io sono Leggenda o World War Z ma nemmeno nei corridori boyliani assetati di sangue del genere 28 giorni dopo o L’alba dei morti viventi di Snyder? Allora Zone 261 (Zon 261) di Fredryk Hiller è il film che fa per voi.
Un’azienda farmaceutica inglese crede di aver scoperto un nuovo e rivoluzionario integratore per sportivi, ma quando lo sperimenta su trentamila cavie umane,queste subiscono durissimi effetti collaterali che causano mutazioni genetiche. Nel giro di poche settimane tutti loro, tranne una, si trasformano in feroci cannibali che trasmettono il virus a forza di morsi, cosicché il colosso farmaceutico è costretto ad affidarsi al mercenario Cole nel tentativo di rintracciare l’unica sopravvissuta ai test e trovare una cura.
In un momento storico in cui il cinema horror era intrappolato tra le deriva apocalittica di fine/inizio millennio e un orizzonte che si stava facendo oscuro in preparazione dell’apparizione dei nuovi vampiri meyeriani, Danny Boyle, regista rivelazione di Trainspotting, ebbe il coraggio di rispolverare dei personaggi che da un po’ di tempo erano stato dimenticati: gli zombie. Certo, la rilettura di Boyle nulla ha a che vedere con l’origine dei morti viventi romeriani, ma ebbe il merito (insieme a Resident Evil uscito lo stesso anno) di rinverdire i fasti di un tipo di cinema che ancora adesso non ha concluso la sua rinascita.