Ci si diverte, si sbadiglia, si rimane a bocca aperta, tutto nello stesso momento.
Quinto capitolo della bislacca saga inaugurata da Charles Sellier Jr. ancora una volta patrocinato dal buon Brian Yuzna.
Qualche illuminato l’ha definito “Emmanuele meets Alien” e non ci potrebbe essere nulla di più vicino alla sua reale natura. Il suo regista è Fred Olen Ray, uno dei maggiori indiziati a raccogliere lo scettro che fu del mai sempre così degnamente onorato – nonchè amico – Ed Wood. Lui, mezzo uomo e mezzo serpente. è il letale Hybrid.
Esordio nel lungometraggio del reuccio della cazzata Lee Demambre – recentemente tornato agli onori delle cronache grazie all’inguardabile Smash Cut – Jesus Christ Vampire Hunter ha l’indiscusso merito di poter vantare nel proprio minutaggio quella che è probabilmente la scena di vampirizzazione peggio orchestrata della storia del cinema. Chapeau.
Non la raffinatissima meccanica che ne determinava i movimenti, nè il pretesto narrativo pseudo-ecologista, tantomeno la querelle intorno a cosa diavolo effettivamente fosse la creatura. Che vi piaccia o no, Carnosaur è passato alla storia per essere il più grande successo commerciale della New Horizon del mitico Roger Corman, che ha fatto in modo che venisse girato in una sola settimana per anticipare l’uscita di Jurassic Park, con quasi 1,2 milioni di dollari di incasso nelle sale.
Uomo di cinema vero – da metà degli anni 80 ad oggi è stato operatore di ripresa per una settantina di pellicole, sia di genere che veri e propri blockbuster – agli albori della sua carriera – stiamo parlando del 1986 – Jim Muro ebbe velleità registiche assolutamente in linea con i tempi che stava vivendo. Horror in Bowery Street: Street Trash ne è il degno risultato.
Se definire i contorni dell’horror e intendersi sul significato del “trash” cinematografico sono due imprese assai ardue per la soggettività e la varietà dei caratteri qualificanti i due rispettivi generi, ben potete immaginare come sia difficile parlare del cinema horror-trash e cioé di quel crossover – volontario o comicamente involontario (perché è certo più trash l’opera che non sa di esserlo) – che affascina ed indigna, disgusta e fa sorridere e che pure contamina tutte le arti.