Category: Serial Killer

Uno dei capolavori horror per antonomasia, simbolo di un’epoca, icona dell’intero genere. Un film per il quale esiste un solo aggettivo: immortale.

Capolavoro. Classico. Cult. Tre C,come Chainsaw, tre tra i tanti aggettivi che sono stai usati, negli anni, per parlare di questo film, pellicola low budget targata 1974, girata nell’arco di un mese dall’allora trentenne Tobe Hooper, regista texano alle prese col suo secondo lungometraggio dopo “Eggshells”, del 1969.

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Capolavoro Non aprite quella porta 2 lo è, ma è anche qualcosa che va assolutamente controcorrente rispetto alle aspettative di qualsiasi appassionato del genere.

Diavolo d’un Tobe Hooper! Ora, nel 2012, dopo tanti brutti horror te lo immagini rincoglionito sulla sedia a dondolo a guardare ebete i tramonti del Texas. Magari un fan si avvicina e gli fa una domanda su Letherface, il gigante con la motosega in mano del suo film più famoso, e lui pulendosi la bocca dalla bavetta risponde con frasi del tipo “Bello il sole eh?” o “La mamma non è ancora tornata”. Non puoi biasimarlo neh, anche alla mente più brillante sarebbe successo.

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Non Aprite Quella Porta 3 sta nel mezzo, non affossa né eleva il buon nome della serie, è sostanzialmente tutto ciò che un seguitino anni 90 deve (e può) essere: amico del gore, ironico quanto basta e capace di stare in piedi da solo.

Il terzo atto della saga della sega segna l’uscita di scena del maestro Hooper, inizialmente intenzionato a metter mano al progetto ma successivamente costretto a dare forfait per realizzare l’horror paranormale I Figli Del Fuoco.  Prima che Jeff Burr (regista dell’interessante Il villaggio delle streghe) venisse chiamato si erano già fatti il nome di registi del calibro di Peter Jackson al timone di comando.

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Leatherface, nel goffo tentativo di aderenza alla materia ispirata, diventa un grottesco gigante transgender, con le labbra strappate da modelle e lo sgraziato corpo da circo dei freaks.

Ecco la peggiore paura di ogni fan dl cinema, horror e non: un seguito cosi’ cattivo da spazzare in un lampo i crediti guadagnati dal prototipo e dai suoi figlioletti. E’ successo con Scream con un terzo capito micidialmente meta cinematografico, con Nightmare e Freddy Kruger pagliaccio a cavallo di una scopa, con un nuovo Venerdi’ 13 vestito da Enigmista, ed è successo, nell’anno del Signore 1994, a Non aprite quella porta.

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“Col budget del film di Hooper questi ci avrebbero pagato giusto le birre” obietterà il critichino. Ma la verità è che in questo remake, umile ma grintoso, la motosega torna a rombare alla grande.

Rimodernare un classicone come Non Aprite Quella Porta è sempre un grosso rischio: il linciaggio da parte dei fans è costantemente dietro l’angolo perchè se le sperimentazioni sono un’arrogante blasfemia, l’eccessiva fedeltà al predecessore suona come una calata di braghe. Forse non esiste modo di uscire totalmente indenni da una missione simile, ma se c’è, Marcus Nispel (Pathfinder, Venerdì 13) ci è andato vicinissimo.

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Siamo davanti a una perfetta opera grindhouse senza i trucchetti di sgranatura dei vari Rodriguez e Tarantino, un atto d’amore sincero verso il cinema del terrore passato.

Dieci anni dopo aver brutalmente ucciso due giovani fanciulle, un pericoloso serial killer riesce a fuggire dall’istituto psichiatrico dove era stato rinchiuso, per tornare nel suo macabro covo, il Dark Ride, una sorta di tunnel dell’orrore dove si è divertito a trucidare decine di vittime. La fortuna vuole che proprio in quel momento un gruppo di giovani studenti in vacanza, decida di fare una visita al Dark Ride, elettrizzati dall’idea di addentrarsi in quel luogo ancora avvolto dal terrore.

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Un nuovo sequel per la terrificante icona e la sua adorabile famigliola di cannibali ma questa volta per Marcus Nispel non c’è posto.

A quasi quarant’anni dall’uscita del primo storico cult diretto da Tobe Hooper, il buon faccia di cuoio è pronto a tornare ad impugnare la motoseghe, e stavolta indosserà anche un bel (0ddio…) paio di occhialini 3D!

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La pellicola inizia con un buon ritmo e prospettive tutt’altro che disprezzabili, ma dopo un paio di allarmanti avvisaglie non appena si spinge sull’acceleratore la storia si accartoccia su se stessa per non riprendersi più.

Dopo l’ennesima sceneggiatura spietatamente bocciata dal proprio produttore, al giovane regista horror Alessio Rinaldi (Giuseppe Soleri) viene consigliato di rivolgersi allo scrittore di successo Ubaldo Terzani:  la collaborazione con l’autore, universalmente riconosciuto come un maestro del brivido, potrebbe aiutare il giovane ad uscire dalla pesante impasse creativa in cui si ritrova e ad andare incontro alle richieste del proprio produttore.

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A giudicare dallo sciagurato script, lo sceneggiatore Robert Orr dev’essere più abile col calcestruzzo che con la penna.

Dopo essersi separata da suo marito, la giovane dottoressa Juliet Dermer decide di trasferirsi a Brooklyn e di ricostruirsi una vita andando ad abitare in un bellissimo e spazioso loft che sembra troppo bello per essere vero. Ma la gioia dura poco: si verificano infatti delle strane circostanze che fanno pensare a Juliet di non essere realmente da sola fra quelle mura, preoccupazioni che presto si trasformeranno in conferme, divenendo terrore puro. 

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Alla fine The tortured appare un po come quei melodrammoni strappalacrime con Amedeo Nazzari che tanto facevano piangere le nostre nonne, solo si è sostituito ai sentimenti, il gusto per il sadismo.

La vita di una coppia di classe medio alta,viene distrutta quando il loro unico figlio di sei anni viene rapito ed ucciso da un serial killer. Ossessionati dalla vendetta, colgono l’occasione per rapire il Killer. Lì nella sicurezza di una casa in mezzo ai boschi cominceranno ad infliggere al maniaco una sequela di torture abominevoli fino all’arrivo della polizia e all’incredibile colpo di scena che ribalterà molte delle nostre certezze. 

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