“Meteorologo dell’inconscio”. “Creatore di ectoplasmi di carta”. Sono solo alcune delle definizioni che negli anni hanno caratterizzato l’insolita genialità di Robert Aickman. “Nipote” d’arte, perché suo nonno era Ricjard Marsh, autore del thriller soprannaturale The Beetle, Robert Aickman non nasce come scrittore, ma si dedica a quest’arte in età adulta, a 37 anni, dopo la pubblicazione del suo libro We Are for the Dark. Six Ghost Stories, nel 1951. A posteriori, ci sentiamo in dovere di ringraziarlo per questo. Sì, perché solo così uno scrittore può provare ad imprimere nelle sue opere la sua “esperienza”, la sua “maturità”, le sue “conoscenze”, senza rischiare di risultare, sulle prime, troppo acerbo, se non addirittura inopportuno.
In principio erano i vampiri. Poi, con l’avvento di Twilight e affini, gli appassionati di horror hanno, giustamente, deciso di virare verso antieroi migliori. Una notte, dunque, ritornarono gli zombi. Per fortuna, grazie a fenomeni come The Walking Dead, è un mito che non sono ancora riusciti a rovinare. Oggi, tutti, si aspettano un’apocalisse zombi: che sia la soluzione migliore per venir via da una crisi mondiale come questa? Ne abbiamo parlato con i ragazzi di The Survival Diaries, il progetto horror letterario in fieri sul web che sta impazzando negli ultimi mesi e senza sosta alcuna.
Red Krokodil racconta la storia di un uomo che, quasi come una sineddoche, intende rappresentare un uomo qualunque, o forse tutti gli uomini. È la storia di un uomo dipendente dal Krokodil che si ritrova improvvisamente solo in una città post nucleare nelle fattezze simile a Chernobyl, il cui disfacimento fisico provocato dalla massiccia assunzione di droghe si sviluppa parallelamente a quello interiore, così come la realtà si mescola prepotentemente alle sue allucinazioni. Il risultato è un film che utilizza il Krokodil come vera e propria metafora di distruzione.
Ci sono pochi film che riescono ad entrare nell’Olimpo dei “tormentoni” cinematografici mondiali come Il Corvo. Chiunque, almeno una volta nella vita, ha sentito parlare delle avventure di Eric Draven che torna in vita dall’aldilà per regolare i conti con gli assassini suoi e della sua amata. Quasi tutti hanno visto il film di Alex Proyas almeno una volta nella vita (se non più d’una, ovviamente). In tanti, tantissimi, hanno pianto la morte prematura di un grande talento come Brandon Lee, venuto a mancare proprio durante le riprese. E nessuno, forse, può contestare in alcun modo il fatto che, a quasi vent’anni di distanza, Il Corvo è ancora un film di culto, un manifesto generazionale, una splendida storia d’amore, ma anche – e soprattutto – uno degli horror meglio riusciti degli ultimi 20 anni, per ambientazioni, musiche, messinscena e, perché no, interpretazioni.
Diretto con un’eleganza certamente figlia di un cinema di genere esclusivamente nord europeo, ben lontano, quindi, dai nostri schemi, ma non per questo meno godibile, Babycall è un horror fuori dal comune, non tanto per la sua difficile interpretazione (è un film che tende al soprannaturale, è vero, ma ha uno svolgimento assolutamente lineare), quanto per la sua messinscena. È un film delicato, sussurrato, per certi versi perfino romantico.
Robert Aickman incontra, seppur virtualmente, David Tibet dei Current 93 per dare vita ad una raccolta di racconti decisamente unici nel loro genere (e non solo)
Roma, 1599. Un antiquario ritrova, tra le proprietà di Francesco Cenci, un reperto singolare: un teschio deforme, di dubbia provenienza, che sottopone subito alla supervisione di Grifo e Leonia, due emissari di Rodolfo II.
È difficile dare un’opinione a caldo su un film come The Moth Diaries. La prima impressione, quella più superficiale, è certamente negativa: il film di Mary Harron è il classico urban fantasy a tinte lesbo che tanto piace al cinema americano ultimamente (basti pensare a Jennifer’s Body per rendersene conto). Ma è con una lettura approfondita che ci si rende conto di come, nonostante non sia propriamente un capolavoro, in un certo senso The Moth Diaries conservi una sua dignità cinematografica. A suo modo, almeno. Liberatevi da ogni preconcetto: sapete già di non dover assistere necessariamente ad un capolavoro. Dimenticate di aspettarvi il film più bello della stagione precedente: The Moth Diaries non ha quel tipo di pretese, perciò non pensateci neppure per un istante.
Il romanzo di Andrew Taylor è un libro difficile non tanto per la sua struttura, quanto proprio perché a volte è difficile comprendere le reali intenzioni dello scrittore. Voleva davvero scrivere un romanzo paranormale? O la sua è semplicemente – o piuttosto – la decrizione cupa e sofferente di un uomo dilaniato dal dolore e alla ricerca di una risposta ai quesiti esistenziali della vita o della morte? Difficile dirlo così, su due piedi, ma ancora più complicato è stabilirlo dopo un’attenta lettura.