L’amico Enzo Verrengia, giornalista e romanziere di lungo corso – sul mio taccuino personale indimenticabile la sua antologia La notte degli stramurti viventi (Stampa Alternativa, 2001) – compie un miracolo che ha dell’incredibile.
In genere non lo si trova nelle varie guide storiche del genere: Boorman e James Dickey (autore del libro omonimo che ne firmò anche la sceneggiatura) sono tuttora certi che la loro opera sia una specie di western moderno declinante la più classica delle tematiche americane, quella del viaggio.
All’uomo del Maine non ho ad esempio perdonato, ad esempio, Insomnia, trovandolo in più punti stucchevole, pedante e noioso. Per dire, insomma, che non sono un kinghiano sfegatato e acritico. Inoltre da anni covo il malizioso sospetto che la premiata ditta sia una sorta di King & Co. a più mani, non accettando forse più per segreto livore che un uomo solo riesca a scrivere così “tanto” e quasi sempre così “bene”.
Uscì nel 1980 e in Italia non si vide mai, quantunque la Sonzogno ne avesse stampato il libro ispirativo di Bernard Taylor, lanciato sul mercato con il titolo Baby Satana. Allora la storia, diretta con mano ferocemente neutrale da Gabrielle Beaumont, ruotava attorno a una neonata adottata da una famiglia americana con già quattro figli a carico.
Phone, purtroppo, si barcamena tra il melodramma fantasmatico e l’horror tecnologico con ampio dispiegamento citazionistico dal cinema occidentale (L’esorcista, Argento, De Palma), affonda dopo pochi minuti dall’inizio in una serie di aspettative sempre tradite da buchi di sceneggiatura, irritanti effetti sonori, false piste e da un inesistente sense of wonder.
Nel 1904 il diciassettenne Raymond Jean-Marie de Kremer entra, per acquistare dei dolci dall’aria squisita che ha visto esposti in vetrina, in una vecchia confetteria di Gand. Il locale è assolutamente vuoto e silenzioso: a nulla serve attendere e chiamare. Il ragazzo prende la decisione di riempire di dolci un sacchetto e di andarsene. Ma, pochi giorni dopo, quando vorrà ritornare in quella bottega, scoprirà che, nell’antica viuzza fiamminga dove i frontoni dei palazzi si specchiano nell’acqua ferma del canale, la pasticceria è scomparsa con l’edificio che la ospitava e nessuno ricorda d’averla mai vista; né verrà mai più ritrovata, per quanto il ragazzo indaghi in giro per la cittadina.