Rape and revenge in chiave esoterica, tra possessioni e furiosi spiriti pellerossa.
Spesso ci si lamenta di quanto poco originali e accattivanti siano le nuove frontiere dell’horror, in tutte le loro derivazioni. E ci si lamenta per un valido motivo poiché tra remake, reboot e tentativi di indurre nuova linfa vitale al Genere, si creano troppe volte opere da dimenticare, quando non da includere in un libro su come non girare un film. La relativa facilità con cui oggi si può girare un corto oppure un lungometraggio, elementi in CG compresi, ha un rovescio della medaglia spesso eccessivamente pesante in termini di qualità, perché in qualsiasi caso, soldi o non soldi, sono le buone idee che contano davvero.
A parte pochi titoli, stiamo assistendo ad un’invasione di pellicole che non valgono davvero il prezzo del biglietto e, purtroppo, nemmeno del noleggio. La prima parte di Savaged, opera low-budget scritta e diretta da Michael S. Ojeda, pareva rientrare perfettamente in questo marasma di poco conto, in quanto, apparentemente, si limitava a sviluppare una storia che odorava di già visto lontano chilometri, a partire da L’ultima casa a sinistra, fino a I spit on your grave.
La giovane Zoe, ragazza sorda in viaggio verso casa del fidanzato nel sud degli States, si imbatte in una caccia selvaggia ai danni di due nativi americani, da parte di un gruppo di esaltati razzisti. Presa dal panico decide ugualmente di prestare soccorso all’unico sopravvissuto, ma viene bloccata dal branco, che finisce il pellerossa e decide di rapirla, segregandola in una baracca sporca e buia. Qui, Zoe viene legata ad un letto con del filo spinato, picchiata e violentata a turno dai componenti del gruppo che, alla fine, se ne sbarazzano accoltellandola e seppellendola nel deserto. Sarà un vecchio sciamano indiano a trovarla e a decidere di tentare un rito volto a sovvertire gli eventi.
Fino a qui, Savaged non è troppo diverso da un classico rape and revenge movie, sottogenere che, come dice il nome stesso, tratta di stupro e vendetta, in modo più o meno violento e visivamente efferato. È consuetudine di certa critica inserirlo unicamente nel gran calderone dell’exploitation, dove sesso, sangue e violenza sono di casa, ma così facendo si dimentica di un notevole precedente, datato 1960, che certamente non si può considerare un B-movie: Jungfrukällan, in Italia conosciuto come La fontana della vergine, per la regia di Ingmar Bergman. Senza naturalmente contemplare una violenza visiva figlia di altri generi, la trama è stata fonte d’ispirazione per Wes Craven e il suo L’ultima casa a sinistra, opera che insieme ad un altro pugno di pellicole ha fatto scuola nel rape and revenge.
A sua volta, il film di Ojeda sembra non discostarsi da questi dettami, almeno fino a quando tutta quanta la trama vira nettamente in territori esoterici. La giovane e dolce Zoe viene infatti riportata in vita dallo sciamano, che purtroppo non riesce ad impedirne la possessione del corpo da parte dell’arrabbiato spirito di un capo indiano, desideroso di vendetta. Da questo punto in avanti, Savaged è puro godimento cinematografico, complice la sorprendente bravura di Amanda Adrienne, l’interprete della non morta posseduta. Vertendo letteralmente verso le rive oscure che richiamano Il Corvo di Alex Proyas, Ojeda crea una spirale di violenza senza compromessi, la cui narrazione ben ritmata non lascia spazio a tempi morti e a scene che ne spezzino il respiro. Inevitabilmente si nota, quando viene utilizzata la CG, che il budget a disposizione non è elevato, ma l’idea di fondo è qualcosa di assolutamente divertente e spiazzante, soprattutto per il fatto che la fantasiosa dispensatrice di morte è una magra ragazza sorda, con occhi dolci e incredibilmente espressivi. Come dice uno degli antagonisti: questo succede quando porti un angelo all’inferno.
Savaged non apporta niente di particolarmente nuovo al genere, ma la sua componente occulta regala scene d’azione e splatter davvero notevoli. Non si perde per strada nel raccontare l’abuso sessuale, quasi più un pretesto per rappresentare la sanguinosa vendetta di una ragazza brutalizzata e di un popolo tradito, riuscendo a mantenere l’interesse e l’empatia nei confronti della protagonista. Duro, crudo e divertente, sebbene non sia l’eccellenza fatta film, instilla comunque la voglia di sanare le ingiustizie del mondo imbracciando un tomahawk. E a volte, questo è abbastanza.
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