L’anticristo più famoso della storia del Cinema di nuovo in sala nell’ennesimo capitolo della saga di Damien.
“La fantasia salva l’uomo” cantava quel luciferino di Morgan coi suoi Bluvertigo a inizio carriera. Viene da chiedersi quanto questa istanza possa ritenersi attendibile se applicata all’industria horror made in USA negli ultimi dieci anni. A salvare baracca e burattini ci pensa la coazione a ripetere più che la fantasia, in una sorta di riproposizione di un modello disfunzionale che di vincente ha solo l’incasso da ierognosi rivolta a ingenui e sognatori. In buona sostanza poco rischio e tutti in difesa fino ai supplementari visto e considerato quanto l’horror sia mucca da spremere fino all’anoressia in stile allevamento MC Donald’s. Tanto vale dare allo spettatore l’ennesimo pacco ampiamente annunciato, tanto in sala ci andremo comunque, speranzosi e morbosi nel stacciare un’ elegiaca emozione, un brivido, un sussulto minimalista da esposizione al MOMA, un tassello mancante di una storia geniale e seminale, sulla scia della vana speranza di essere nel pregiudizio e di stare sbagliandosi cassando il tutto con largo anticipo. Pertanto la notizia di un probabile remake bis, o re- remake di Omen non stupisce, non crea emozioni, pare piuttosto, per dirla alla Bersani e rimanere sul citazionismo italpop, “la copia sbiadita di mille riassunti”. Richard Donner nel 76′ aveva probabilmente detto tutto ciò che c’era da dire con quel finale cattivo e inquietante, con quel frame di Harvey Stephens rivolto alla telecamera in un ghigno che non ammette repliche.
Il Presagio è stato ed è un film semplicemente perfetto, invecchiato con somma dignità, gemma a cui ogni cultore ( e non) dovrebbe rapportarsi con devoto rispetto, non solo e non tanto per i numerosi riconoscimenti (fra cui l’Oscar all’O.S.T.) quanto per il sublime rinforzo all’ archetipo dell’infante maledetto sdoganato con magniloquenza da Polanski prima e da Friedkin poi. L’ horror, inteso per ciò che realmente è, ovvero l’arte di traslare la paura in immagini, è dunque in debito col Presagio e in credito con tutto o quasi ciò che è seguito dopo intorno alla storia di Damien. La maledizione di Damien sequel di due anni successivo targato Don Taylor è in verità un film non così brutto sebbene perda nettamente il confronto col Presagio su ogni fronte, dalla messa in scena alla suspance, dal simbolismo ( il legame fra politica ed esoterismo nel Presagio è sottointeso con grazia da mannequin parigina) passando per l’ambientazione e la caratterizzazione.
E poi mancano Gregory Peck e Lee Remick, due cavalli di razza che raramente tradiscono gli allibratori. Tuttavia l’idea del maligno che sfugge ancora una volta ai pugnali bendedetti di Megiddo grazie alle pulsioni animali dell’uomo (la gelosia della signora Thorn nei confronti del marito) e l’austero sguardo del bambino all’ultimo secondo di girato, ancora una volta diretto fisso in camera, sono particolari che al giorno d’oggi farebbero gridare al miracolo schiere di aspiranti critici di genere.
La vera ecatombe si ha con Conflitto Finale, film figlio della deriva ipertrofica di una parte dell’orrore degli Ottanta, quasi tenero nel suo plot bizzarro e raffazzonato con David Seltzer che cura soggetto e non sceneggiatura (Andrew Birkin) e che si mormora abbia avuto problemi di intesa col compagno di scrittura paragonabili solo alle indecisioni in marcatura di Dante e David Luiz nell’ultimo Germania- Brasile. La rima fra maracanazo e film del c.. ve la risparmio ma mi auguro renda l’idea. Ma se l’abisso non ha confine allora che dire di Il Presagio Quattro? Film del 91′ diretto dal prolifico svizzero Dominique Othenin-Girard in coppia con Jorge Montesi è opera che lascia poco spazio alla clemenza.
Si capisce poco, entrano in gioco personaggi che paiono maghetti di Harry Potter e il finale profetico della camminata verso Roma città eterna fa rimpiangere gli exploit di Jerry Calà in Professione Vacanze. Veniamo all’anno per noi italioti santo 2006, quando Twentieth Century Fox Film Corporation e Mediaworks decidono di versare un pò di zolfo in tutto il mondo pochi giorni prima dal miracoloso rigore di Grosso contro la Marianna gallica. In contemporanea mondiale esce il sei giugno 2006 (6/6/6/-senza al cun dubbio una mirabolante trovata cinobalanica) il remake de il Presagio, ovvero Omen- Il Presagio, diretto dal buon John Moore, paffuto e barbuto cineasta più a suo agio con l’action esagitato che col dramma d’atmosfera. Si gira fra Praga e Matera (associazione geografica degna di uno sketch di Maccio Capatonda) e cammeo d’ordinanza a Harvey Stephens, aka original Damien Thorne. Tutto piuttosto bruttino sebbene lo svecchiamento cooconiano frutta un buon incasso e risulta meno deleterio di altri celebri casi. Siamo sempre in acque torbide e puzzolenti come il molo di Riccione ma in sostanza, nell’ambito remake, si è visto di peggio. Veniamo alla notizia del giorno. Ci risiamo. La Twentieth Century Fox (in collaborazione con Platinum Dunes) ci vuole riprovare con un secondo remake di cui si sa ancora pochissimo se non che potrebbe essere ancor più fedele all’originale di Donner. Intanto nell’epoca della serialità non potevamo certo risparmiarci la serie Tv a tema ideata dal guru di The Walking Dead Glen Mazzara per la piattaforma visiva Lifetime.Che Damien si stia rivoltando nella tomba e lo sciacallo dal quale è stato partorito abbia deciso per l’eutanasia veterinaria?
About stefano paiuzza
Appassionato d'horror da tempi recenti ma affascinato dalla paura da sempre. Ama in particolar modo il cinema europeo ed extra hollywoodiano in genere. Sogna una carriera come critico cinematografico e nel frattempo si diletta tra letture specifiche e visioni trasversali. Lavora a stretto contatto con la follia o forse è la follia a lavorare su di lui. Se fosse un regista sarebbe Winding Refn, uno scrittore Philip Roth, un animale una tartaruga. Ha pronto uno script per un corto ma non lo ha mai fatto leggere. Citazione preferita: "La dittatura è dentro di te" Manuel Agnelli.