Alex de la Iglesia torna con una nuova, dissacrante e divertente follia.
Zugarramurdi è un piccolo comune spagnolo della Navarra, poco distante dal confine francese. Borgo di circa 250 anime, è stato palcoscenico di un famoso processo inquisitorio tenutosi nel 1610, processo che portò all’incriminazione di 53 persone, accusate di stregoneria. Molte di loro, trasferite a Logroño, morirono in carcere o lungo la strada, ventuno furono graziate e undici arse sul rogo durante l’autodafé del 7 Novembre 1610. Proprio per la risonanza del suddetto rito, la città spagnola diviene famosa come Pueblo de las Brujas, Villaggio delle Streghe.
Al pari di Zugarramurdi, anche molte altre città spagnole furono teatro di simili processi, torture e roghi assassini, ma Alex de la Iglesia, il regista dello splendido Balada triste de trompeta, approfitta della fama e sceglie il paese basco come inquietante Salem europea per ambientare la sua ultima sorprendente fatica: Las brujas de Zugarramurdi.
Folle, estremo, iperbolico, esagerato, visionario, quanti aggettivi sono stati usati per definire De la Iglesia e il suo cinema? Eppure, il regista di Bilbao sfugge a qualsiasi etichetta e con il tempo è riuscito a scrollarsi di dosso i paragoni semplicistici di chi lo classificava con protervia come un Tarantino spagnolo. Irrispettoso e invero troppo semplice definirlo emulo di quel fantastico pugno di autori, Rodriguez, Del Toro, Araki e lo stesso Tarantino, che hanno fatto del cinema di Genere il loro punto forte, poiché la sua poetica anarchica è un mix dalle tinte scure, capace di attraversare il grottesco, l’horror, la dark comedy e la satira sociale con un passo politicamente scorretto e una debordante carica di creatività. Las brujas è un’apocalittica commedia nera incastonata nell’horror esoterico, ma De la Iglesia e il suo abituale sceneggiatore, il bravo Jorge Guerricaechevarrìa, danno un tocco in più, una pennellata surreale ed umoristica, quasi a voler distogliere l’attenzione sul vero leitmotiv della pellicola, quel rapporto fra i sessi che tanto lavoro ha dato ad artisti e psicoterapeuti, mascherando la critica e l’ironia con un finto disimpegno. Ma lungo tutta la durata della narrazione, forse eccessiva nella sola parte finale, si piazzano perfettamente scene di eccezionale efficacia, potenti e straordinariamente rappresentative nella loro surreale follia. E con un simile inizio non potrebbe essere altrimenti.
Josè è un padre divorziato e squattrinato, incapace di pagare gli alimenti all’ex moglie ma desideroso di vedere il figlioletto Sergio più spesso di quanto gli sia concesso. Per sistemarsi definitivamente organizza una rapina in un ComproOro, insieme ad una banda di sconosciuti, colpo che gli frutterebbe la somma necessaria per fuggire in Francia con il bambino. Le cose però non vanno come previsto e fuggendo a bordo di un taxi i rapinatori finiscono a Zugarramurdi, paesello vicino al confine francese, dimora di un gruppo di streghe dagli intenti poco amichevoli.
De la Iglesia torna a girare film con il suo stile inconfondibile, torna a divertirsi e a divertire, dopo un paio di pellicole meno ispirate, seppur comunque valide, quali Oxford Murders e La chispa de la vida. Caustico, cattivo ed esagerato, gioca con la guerra dei sessi in un modo che solo lui potrebbe fare, senza mai cadere in una sciocca ed inutile misoginia, ma anzi raccontando le verità di uomini e donne con divertente ironia. Se da una parte tutte le donne sono streghe, con o senza poteri magici, oppressive e dominatrici, dall’altra tutti gli uomini sono pavidi nei loro confronti, frustrati e inadeguati. C’è un meraviglioso equilibrio fra queste due parti e mai una volta si ha la sensazione che regista e sceneggiatore parteggino per una o per l’altra. L’esagerato orgoglio femminista è deriso tanto quanto il finto machismo degli uomini, e la vessazione attuata dalle prime è pari alla stupidità dei secondi, seguendo un ritmo narrativo che non lascia vuoti o tempi morti, in continue situazioni al limite del grottesco, del surreale e dell’esagerato. La visione di De la Iglesia, però, non si ferma qui, perché non sono solo le paure legate al rapporto di coppia ad esser prese in considerazione, ma anche la situazione presente di una Spagna che, come altri Paesi europei, arranca in cerca di una stabilità minata dalla crisi. La sola scena che apre Las brujas è di una genialità disarmante sia nella rappresentazione che nel messaggio allegorico: un negozio facente parte di una catena divenuta, suo malgrado, un simbolo della crisi economica viene rapinato da un uomo travestito da Gesù Cristo accompagnato da un bambino di circa dieci anni. Estremo, folle e memorabile. Questo è il cinema di Alex de la Iglesia da amare incondizionatamente.
Las brujas de Zugarramurdi è una continua invenzione, una sapiente miscela di generi diretta con vivacità e precisione, impreziosita da un cast in cui spiccano la bravissima Carmen Maura, una delle muse di Almodóvar, Carolina Bang e Terele Pávez, un trittico di attrici in gran forma. Il regista basco si impone come autore creativo, folle, visionario e geniale, mostrando ciò che pensa del mondo attraverso un cinema iperbolico, senza freni, con una strizzata d’occhio agli spettatori, che si ritrovano impossibilitati a mantenere un equilibrio di giudizio. Perché Alex de la Iglesia si ama o si odia, senza alcun compromesso.
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