La recente uscita del remake di Carrie firmata Kimberly Peirce, suggerisce alcune rapide e superficiali riflessioni su quel sottofilone dell’horror, all’apparenza ben codificato ma nel profondo quanto mai “di confine”, in America etichettato come Teen Horror Film.
Partiamo proprio dalla storia concepita dalla mente di King. Intanto per ricordare che magari in Italia non ce ne siamo neppure accorti, ma la storia di riscatto e di vendetta al femminile proposta in Carrie ha seminato parecchio nel corso degli anni e al momento rischia, in America, di diventare un piccolo fenomeno di culto teatrale alla stregua di The Rocky Horror Picture Show. Ma, prima di soffermarci sul recentissimo Carrie – A Comedy, non va dimenticato che, dopo l’eccellente film del ‘76 diretto da Brian De Palma, ci fu l’adattamento musicale, scritto proprio da quel Lawrence D. Cohen, autore dello sceneggiatura dell’opera di De Palma. Uscito dopo un travagliato percorso di gestazione a Broadway il 12 maggio 1988 con una produzione di oltre 7 milioni di dollari, il musical Carrie si trasformò prestissimo in uno dei più incredibili flop nella storia del teatro americano. Però quella storia di riscatto e di giustizia post-femminista, sulla quale negli USA si sono scritti libri, tesi di laurea e si sono accesi dibattiti pro e contro, aveva già fatto breccia in altrui immaginari.
Risale infatti al 1979 una produzione dell’AIP, sceneggiata da Kay Cousins Johnson e diretta da Brice Mack dal titolo Jennifer, interpretata da una bravissima Lisa Pelikan: il film è un incredibile clone di Carrie (stessa trama, stesso ambiente scolastico), con le sole differenze che al posto di una madre invasata e sessuofobica qui troviamo un padre con analoghi problemi e che Jennifer, la perseguitata di turno, invece di sviluppare distruttivi poteri telecinetici, è in grado di materializzare serpenti di qualsiasi razza e dimensione con i quali far tabula rasa dei suoi sciocchi aguzzini. Ma le vere influenze sono in verità più sottili e ben più durature, al punto tale che da Carrie sembra partire una lunga scia di film che vedono il ballo di fine anno scolastico (la Prom Night) come focus drammaturgico di storie che non devono essere necessariamente horror a tutti i costi.
Prom Night
Il ballo di fine anno in America è, per dirla alla King, fatidico. Un rito di passaggio, profondamente incuneato nella cultura popolare, che segna la fine dell’adolescenza e della sempre mitizzata “innocenza”. Un traguardo simbolico, sul quale riversare (troppe) aspettative e progetti grandiosi che spesso muoiono, appunto, all’alba. Nell’immaginario giovanile una festa collettiva, all’apparenza molto formale ed elegante (e lontanissima dal liberatorio Spring Break) che però “sotto la pelle” rimanda alla deflorazione vissuta anche nel dolore e nel sangue, comunque la vera prima scalata verso la trasgressione. Come ha dimostrato King nel suo romanzo, per chiunque in America il ballo di fine anno è “fatidico”. E la gente di Chamberlain, il paese destinato a divenire una piccola città fantasma dopo l’apocalisse scatenata da Carrie, rappresenta, estremizzandola, un po’ tutta la nazione. Per Margareth White altro che un’orgia diabolica destinata a concludersi nel sangue (e non è che possiamo darle torto…), mentre la signorina Collins, membro del corpo insegnante, ricorda la Prom Night come un delicato momento di innocenza adolescenziale; per tanti coetanei si tratta di un solido progetto monogamico («il ragazzo con cui ballerò a fine anno sarà il mio uomo per tutta la vita») mentre per le bad girl come la scatenata Chris, coautrice dello scherzo del sangue di maiale e anticipatrice delle Spring Breakers dello stupendo film di Harmony Korine, altro non è che uno dei tanti possibili teatrini di ninfomania.
Qui da noi la Prom Night non la si usa molto (anche se un po’ sta prendendo piede a causa della crescente “americanizzazione” dei costumi giovanili e per la trasformazione subita nel corso del tempo dal famoso “gran ballo delle debuttanti”), ma negli USA è fondamentale nella vita dei ragazzi. Pensate che dalla Prom Night discendono centinaia di varianti di una leggenda urbana, in verità diffusa in ogni angolo del pianeta, che i ricercatori hanno classificato come The Devil at the Dance e, nella versione più tecnologica, The Devil in the Discoteque. Gli schemi della storia sono quanto mai didattici e moralistici e, come in Carrie, pongono al centro del plot il divieto parentale di recarsi a ballare. «In quei posti non ci devi andare perché li frequenta il Diavolo!», e sembrerebbe proprio di ascoltare l’invasata Margareth. Il fatto è che, all’inizio degli anni Novanta, a fronte del reale incendio che distrusse l’Aloha Club di Tijuana, si diffuse in zona e in un batter d’occhio la seguente storiella: la ragazza, nonostante il contrario parere della madre, raggiunge di nascosto il locale e a mezzanotte prende a ballare al suono della disco-music con un giovanotto dall’aria tenebrosa e gli occhi rilucenti. I due danzano per una ventina di minuti come (appunto) “assatanati” e in quel lasso di tempo gli altri clienti si avvedono che la temperatura si sta alzando di parecchio e dai corpi dei due ballerini prende a uscire del fumo, mentre il fuoco divampa sui divani e sulle suppellettili dell’Aloha. La ragazza viene condotta con il corpo tutto ustionato al Pronto soccorso e la discoteca è praticamente distrutta. E, morale, mentre si sparge in Tijuana si sparge la voce che il demonio è apparso prima dell’incendio, la madre della ragazza urla per i corridoi dell’ospedale: «Te l’avevo detto, te l’avevo detto! E adesso preghiamo!»
I figli di Carrie…
Carrie, giusto? E da qui al codificato Murder on the Dance-floor del cinematografico Teen Slasher il passo è quasi nullo. Qualche anno dopo Carrie di De Palma ecco la partenza di Prom Night di Paul Lynch (In Italia Non entrate in quella casa), che frulla tarde influenze da La febbre del sabato sera alla voga nascente dei serial killer in azione sui giovani trasgressori della notte. Recentemente martoriato nel 2008 da un insipido remake di Nelson McCormick (Che la fine abbia inizio), il film di Lynch però genera una sorta di miniserial in cui a livello tematico è ancora presente Carrie White amalgamata a schegge oniriche provenienti dai Nightmare di Craven, ovvero Prom Night 2 – Hello Mary Lou (Prom Night 2 Il ritorno, 1987) di Bruce Pittman e Prom Night 3 The Last Kiss (Prom Night 3 L’ultimo bacio, 1990) di Ron Oliver e Peter R. Simpson.
A tali prolungamenti occorre aggiungere il sequel risalente al ‘99 del film di De Palma, Carrie 2 – The Rage di Katt O’Shea, ovvero Carrie 2 – La furia, dove scopriamo una nuova ragazzina con gli stessi poteri di Carrie in quanto figlia dello stesso padre di lei, Ralph White; un film neppure malaccio tenute nel debito conto le mille traversie produttive. Quindi il minserial TV scritto da Bryan Fuller e diretto da David Carson con Angela Bettis, bruttina ed emarginabile forse più di quanto l’avesse pensata il Re, molto più fedele al libro che non il film di De Palma, un’operazione che era stata pure progettata per aprire una lunga serie della NBC, mai decollata. Ci sarebbero poi da elencare diversi omaggi al plot di Carrie in altrettanti videoclip musicali. Il più famoso di tutti è Before He Cheats di Carrie Underwood, dove vediamo la bionda e bella cantante (Nomen Omen…) che cammina con aria truce e vendicativa al centro di una strada di provincia con finestre che esplodono al suo passaggio, lampioni che prendono fuoco e oggetti che volano per aria. Quindi Courtney Love nel video di Miss World rilegge con le Hole tutta la sequenza depalmiana della scena del ballo prima dello scherzo del sangue di maiale. E infine questo recente successone teatrale di Broadway, Carrie – A Comedy, scritto da Erik Jackson (se ne può vedere un significativo coming soon su Youtube), al quale gli spettatori si presentano vestiti con abiti in stile anni Settanta e abbigliati come i personaggi del film, nonché partecipando sonoramente alle battute provenienti dal palco.
In ogni caso, per quello che abbiamo scritto sin qui è evidente quanto la storia dell’emarginazione di Carrie White sia penetrata in tutti questi anni nell’inconscio del mondo. Su dichiarazione dello stesso King, è una storia che si rivolge a tutti gli emarginati, i diversi, gli outsider. E non è così scorretto pensare che questa storia stia tornando con tanta prepotenza alla ribalta mentre ovunque, in Italia anche, si moltiplicano in ambito scolastico odiosi episodi di intolleranza omofoba con tragiche conseguenze di suicidi sempre più frequenti. E proprio Sissy Spacek ha sottolineato in una recente intervista a The Huffington Post quanto Carrie sia una vera e propria icona per la comunità gay: «Penso che l’intera storia parli a chi si sente perseguitato nella vita, ed è questo il motivo per cui i teenager di tutto il mondo continuino a guardarlo. E parlo di tutti gli adolescenti, anche quelli che sono stati popolari a scuola, perché hanno una piccola parte di sé che si sente perseguitata. Negli anni anche molti afro-americani mi hanno raccontato del legame particolare che avvertono nei confronti del mio film.» Il nuovo Carrie è comunque ben lungi dall’essere un remake di quello di De Palma e il dato che in parte ci sia serviti della tecnica del found footage dimostra una notevole adesione al testo kinghiano che, come ricorderà chi l’ha letto, era un collage di tecniche miste, fra riletture di frammenti di giornale, saggi apocrifi e narrazione convenzionale. E soprattutto per l’epoca, era un romanzo di fantascienza ambientato nel futuro.
Da Carrie, allora, a tutti gli altri, per sottolineare qualora ve ne fosse il caso, quanto il mondo di Stephen King sia centrale all’immaginario di tutto un filone. The Loved Ones di Sean Byrne (Australia, 2009) che mette in scena una Prom Night ad altissimo livello di emoglobina con una bad girl, Lola Stone, di inarrivabile psicopatia; Resurrection Mary – Dance with the Devil di Sean Michael Beyer (2007) che fonde le suggestioni del ballo di fine anno con la leggenda The Devil at the Dance e lo spettro più citato nel folclore americano; Cabin Fever 2 – Spring Fever di Ty West (2009), in cui il già noto virus della fascite necrotizzante, apparso nel primo Cabin Fever di Eli Roth, si propaga fra gli studenti durante la Prom Night; il curioso Detention – Terrore al liceo di Joseph Kahn (2011), dove un serial killer fa strage nella solita scuola con momento clou la solita notte del ballo (ma non è il solito film…); Jennifer’s Body di Karyn Kusama (2009), dove la più bella scena del film è proprio quella della Prom Night che evoca a suo modo il ballo della Morte Rossa di poesca memoria. Personalmente però non riusciamo a toglierci Megan Fox dalla mente…
A venire sugli schermi nei prossimi mesi: Antisocial di Cody Calahan, in cui un ballo studentesco di Capodanno si trasforma in una biblica apocalisse; Detention of the Dead di Alex Graig Mann, definito un mix perfetto tra Breakfast Club e Shaun of the Dead, con liceo assediato da morti viventi, e Vamp U di Matt Iespersen e Maclain Nelson, dove anche i vampiri fanno breccia al college nel momento fatidico del ballo. Insomma, non entrate in quelle scuole…
NOTA 1
Tra le curiosità e i prodromi del filone occorre segnalare: Gli orrori del liceo femminile di Narciso Ibaňez Serrador del 1969, pellicola molto seria e sobria del futuro autore di Ma come si può uccidere un bambino?, Die Sage des Todes, ovvero Profonde tenebre del 1981, firmato da Jesus Franco, conosciuto anche come Bloody Moon e The Saw of Death, dove in un liceo linguistico si aggira un maniaco dal volto sfigurato che fa polpette di belle studentesse, Terrore al London College di Sidney Hayers del ‘71 e Cosa avete fatto a Solange? di Massimo Dallamano dell’anno successivo. Tutti antesignani, a loro diverso modo, del Teen Horror Slasher.
NOTA 2
Per molti critici il Teen Horror Slasher sarebbe inaugurato ufficialmente nel 1974 dall’ottimo Black Christmas – Un Natale rosso sangue del compianto Bob Clark, anche questo oggetto di un remake con molta infamia e poca lode uscito nel 2006 a firma di Glen Morgan. Al di là del valore storico, il notevole film di Clark era un vero atto rivoluzionario per l’epoca: condotto in modo quasi esasperante con un tocco gotico di rara efficacia, il film giungeva a una soluzione senza soluzione, in cui i parametri da ossequiare nel thriller classico (scoperta ed eliminazione del “mostro”, verifica o conoscenza dei motivi della condotta dell’elemento “disturbante”) venivano del tutto ribaltati: non solo l’assassino non era scoperto ed eliminato, ma al suo posto si uccideva un innocente e allo spettatore non era concesso di sapere le ragioni che lo spingevano a uccidere. Se oggi consideriamo (al cinema) del tutto logici i serial killer che uccidono senza un vero perché, molto lo si deve a questo pionieristico film di Clark, straordinaria metafora ante litteram di una società che uccide ritualmente il diverso, ma lascia liberi di agire i veri assassini di cui non conosciamo il volto.
NOTA 3
Nel grande mucchio del Teen Horror entrano a pieno diritto i film della miniserie Urban Legend ambientati ovviamente al college dove il maniaco di turno ripercorre con minuzia i plot di alcune delle più famose leggende metropolitane a sfondo horror. Una vera e propria messinscena autoironica in quanto proprio i campus sono in America i maggiori diffusori delle leggende. Comincia nel 1998 Jamie Blanks con Urban Legend, seguito nel 2000 da Urban Legend Final Cut di John Ottman, per terminare con Urban Legend 3 – Bloody Mary di Mary Lambert, uscito solo per il mercato video, dove però il canovaccio del maniaco nel campus viene abbandonato per sviluppare la macabra storiella di Bloody Mary, la strega che se chiami cinque volte allo specchio, esce dal suo mondo per portarti nel suo. Leggenda che è stata anche fonte d’ispirazione a Clive Barker per il suo stupendo The Forbidden, conosciuto filmicamente come Candyman.
NOTA 4
Beh, li diamo per scontati e acquisiti tanto sono famosi. E’ ovvio che i quattro film della serie Scream di Craven e i tre nati dal libro di Lois Duncan (So cosa hai fatto di Jim Gillespie del ‘97, Incubo finale di Danny Cannon del ‘98 e Leggenda mortale di Sylvan White del 2006) appartengano tutti quanti, con maggior o minor attinenza, al Teen Slasher: vittime giovani e carine, scherzi e leggende, saga dichiarata del citazionismo, assassini mascherati, telefonate anonime e prospettive sghembe. Il Teen Slasher è puro metacinema e un film come Scream è un autentico feticcio. Con frasi estrapolate che sono vere e proprie dichiarazioni di poetica: «E’ molto più terrorizzante quando non c’è movente!» oppure «Al giorno d’oggi ci vuole un seguito!». All’identico universo ascriviamo anche Valentine – Appuntamento con la morte, del 2001 e ancora diretto da Jamie Blanks, segnato simmetricamente all’inizio e alla fine da due “feste di sangue”, non più balli di fine anno ma feste scolastiche di San Valentino che si tengono guarda caso alla Junior High School Valentine’s Dance. E la festa degli innamorati diventa una splendida festa di morte.
NOTA 5
Citazione d’obbligo per l’ottimo The Faculty di Robert Rodriguez del 1998, in cui il personale insegnante dell’Herrington High in Ohio viene posseduto da schifosi parassiti alieni. E il rituale scontro generazionale tra studenti e professori si trasforma in una lotta di sopravvivenza per salvare la scuola e forse la Terra. Ritmo sfrenato, idee sulfuree e gran divertimento. In questa scuola val la pena entrare per dare una mano a far fuori gli ennesimi Ultracorpi del fantahorror. E Rodriguez, al suo meglio, non tradisce.
About Danilo Arona
Danilo Arona (Alessandria, 28 maggio 1950) è uno scrittore, giornalista e saggista italiano. Per anni si è occupato di narrativa fantasy e mistery, tenendo conferenze sulla letteratura fantastica e collaborando alla scrittura di sceneggiature. Ha scritto saggi sul cinema dell'orrore e su alcuni esponenti di punta di questo tipo di cinema, quali Wes Craven e Stephen King. Ha pubblicato, tra gli altri, con la Mondadori, Marco Tropea, Gargoyle Books, Corbaccio, Dario Flaccovio e Mezzotints.
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