Scompare a 74 anni il padre dei biomeccanoidi. Con i suoi Xenomorfi ha rivoluzionato il cinema di fantascienza.
Tigre! Tigre! Divampante fulgore
Nelle foreste della notte,
Quale fu l’immortale mano o l’occhio
Ch’ebbe la forza di formare la tua agghiacciante simmetria?
Fearful symmetry, agghiacciante simmetria. Due parole che si sposano alla perfezione con le creazioni visionarie di uno degli artisti che più ha influenzato l’immaginario collettivo, non solo cinematografico, di intere generazioni.
L’arte di Hans Ruedi Giger, nato Hans Rudolf, è tanto surreale quanto inquietante, capace d’ibridazioni che affascinano e scandalizzano, e non è azzardato l’accostamento fatto con i primi versi di The Tyger, del poeta e pittore inglese William Blake, poiché la sua ispirazione surrealista e simbolica arriva da lontano. Con un immaginario filo nero, intessuto nell’incubo e nella provocazione, l’arte visionaria, sensuale e angosciante di Giger, si dipana, ispirata e ispiratrice, da Blake a Salvador Dalì, da Bosch a Ridley Scott, portavoce di un emotività potente come le incredibili figure che rappresenta.
Nato nel 1940 a Coira, comune svizzero del Cantone dei Grigioni, studia design industriale e architettura a Zurigo, ma con il passare del tempo la sua formazione si diversifica e lo stile sperimentale passa da china e inchiostri alla pittura a olio, fino ad arrivare all’utilizzo dell’aerografo, con la quale diviene famoso in tutto il mondo. Con questo stile crea le sue opere di confine, che comprendono l’invenzione più famosa, i biomeccanoidi, esseri dove carne e metallo si fondono, macabri simulacri di affascinante orrore in cui la fusione di organico e inorganico dà vita a forme indefinibili e straordinarie.
Speriamo che ciò che il futuro ha in serbo per noi assomigli il meno possibile alle mie opere, disse molti anni fa durante una delle sue mostre, a Milano, e chi ha davanti agli occhi il suo lavoro non può non trovarsi d’accordo. Artista attivo su più fronti, Giger entra nel mondo del Cinema con qualche difficoltà. Alejandro Jodorowsky lo coinvolge nel progetto Dune, l’adattamento cinematografico dell’opera di Frank Herbert, che però sfuma nel nulla e viene infine assegnato a David Lynch, che del lavoro di Giger utilizza solo pochissimi elementi. L’artista svizzero deve attendere il 1979, l’anno in cui una pietra miliare del cinema di fantascienza fa il suo esordio nelle sale: Alien. Ridley Scott lo contatta e Giger caratterizzerà la pellicola da cima a fondo, penetrando letteralmente l’immaginario fantascientifico dell’epoca con la sua visionarietà sfrontata e sopra le righe. Sicuramente figlio di un filone fanta-horror originario degli anni cinquanta, Alien si discosta però da tutto quello che fino ad allora era stato fatto, scartando lo stile visivo geometrico della sci-fi settantiana, puntando ad un gotico che trova perfetto vate in Giger e nelle sue rappresentazioni sempre al limite. Creatore non solo del look dello Xenomorfo, l’ormai famoso e famigerato alieno, ma anche di strutture e architetture, l’introduzione di tratti organici, anche sessuali, nell’inorganico fa sfoggio di sé permeando gran parte di ciò che lo spettatore vede nella pellicola, sebbene non sempre questo sia chiaro alla prima visione. Fallica è la forma della testa aliena, così come la sua lingua retrattile, l’apertura delle uova richiama il sesso femminile e lo stesso atto di riproduzione aliena, con il facehugger che attaccato al viso della vittima ne feconda il corpo, è una penetrazione forzata che si conclude però in maniera inversa.
Parlando proprio dell’aspetto dello Xenomorfo disse: nel primo design dell’alieno, lui aveva grandi occhi neri. Ma l’idea non piacque. Allora pensai che sarebbe stato ancora più spaventoso se non avesse avuto occhi. Li abbiamo fatti ciechi! Così, quando la macchina da presa si avvicina, si vedono solo i buchi nel cranio e questo fa davvero paura. Perché anche senza occhi lui sa esattamente dove sono le sue vittime, e attacca direttamente, all’improvviso, infallibilmente. Come l’attacco di un serpente.
Tutto il lavoro di Giger su Alien ha indubbiamente influenzato il cinema di Genere degli anni successivi, le sue architetture biomeccaniche e l’estetica gotica presenti nel film di Scott sono a tutt’oggi uno dei punti più alti mai raggiunti dall’immaginario fantascientifico e questo portò l’artista a nuove collaborazioni cinematografiche, purtroppo senza mai più eguagliare i fasti di Alien.
La saga iniziata nel ’79 si conclude nel 1997 con Alien – La clonazione, del francese Jean-Pierre Jeunet. L’apporto artistico di Giger nei sequel e nei due crossover spin-off, Alien vs Predator, è nettamente inferiore quando non totalmente assente, in quanto l’utilizzo della tecnologia in computer grafica, e quindi la modellazione in 3D, sostituisce la manualità degli artisti in modo sempre maggiore. Tenterà nuovamente di portare la sua visione nella settima arte con Species, nel 1995. Fanta-horror diretto da Roger Donaldson, Specie Mortale si avvale dei concept di Giger per la creatura aliena Sil, sinuosa predatrice sessuale dal fine riproduttivo, che se in forma umana aveva le fattezze dell’esordiente Natasha Henstridge, nascondeva sottopelle l’inconfondibile tocco dello svizzero, con la sua anatomia slanciata, conturbante e tentacolare, dove l’organico muta in forme visionarie, terribili e fantastiche. Purtroppo Donaldson non è Scott e Species avrà un pessimo riscontro al botteghino, per quanto divenne un piccolo cult fra gli appassionati, tanto da generare tre sequel, uno meno dignitoso dell’altro. Collaborò anche a Poltergeist 2 e Prometheus, il prequel di Alien tanto voluto da Scott.
Nel 1998, all’interno del St. Germain Castle di Gruyères, è stato inaugurato il Museum H.R. Giger, dove oltre alle sue opere sono esposti anche lavori di Dalì provenienti dalla sua collezione privata.
H.R. Giger si spegne a 74 anni, il 12 Maggio 2014 a Zurigo. Pittore, scultore, designer, premio Oscar nel 1980 per i Miglior effetti speciali con Alien, lascia un’ampia bibliografia di capolavori, a partire da ARh+ ristampato numerose volte anche in Italia, e una collezione di folle visionarietà su pellicola. Il suo lascito fatto di surrealismo, inquietudine e terribili incubi non si ferma qui, come più volte dimostrato dall’ispirazione che le sue opere hanno suscitato in cineasti ed artisti. Il genio dei biomeccanoidi, esploratore di un lato oscuro tanto spaventoso quanto affascinante, sarà ancora per molto tempo padre di mostruose meraviglie.
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