Dal giovane regista Germano Boldorini, ecco Tanith (2012): un sorprendente cortometraggio raffinato e claustrofobico
Nell’interessante e complesso ambito del cinema indipendente è già difficile orientarsi fra i numerosi lungometraggi per valutare quali siano davvero meritevoli: ma tale operazione risulta ancora più complessa nella marea infinita di cortometraggi. Essendo un genere alla portata di (quasi) tutti, è fondamentale innanzitutto distinguere i lavori amatoriali da quelli professionali, perché – anche grazie alla rete – si finisce per trovare veramente di tutto. Ed è sempre una piacevole sorpresa scoprire dei corti di alto livello come Tanith (2012) del giovane regista romano Germano Boldorini, genuino e attento esercizio di stile che non rimane però fine a se stesso ma è al servizio di una narrazione concentrica assolutamente particolare e claustrofobica.
“Tanith” è un nome evocativo e misterioso ripreso dalla mitologia – la dea fenicia dell’amore e della fertilità, e infatti la natura riveste un ruolo importante nel corto. La trama è abbastanza semplice, e i 15 minuti di durata sono dedicati volutamente più alla costruzione di un’atmosfera che al racconto di una storia vera e propria. Una ragazza sta correndo in un bosco, spaventata e sanguinante come se stesse fuggendo da qualcosa: dopo aver raggiunto alcune rovine di pietra, sta per entrare in una grotta luminosa quando si sveglia. È stato dunque solo un incubo. O forse no? Al risveglio, la donna precipita infatti in un nuovo incubo che la riporta al punto di partenza come in una spirale senza fine.
Tanith, scritto dallo stesso Boldorini, è un corto d’atmosfera: surreale, suggestiva, misteriosa, introspettiva, claustrofobica. Non è solo un horror, nonostante la buona dose di mistero e angoscia e anche una bella scena di sangue (l’incisione del braccio con dettaglio della ferita): è un mistery, un thriller, un “giallo metafisico” senza soluzione, un dramma psicologico. Se vogliamo, è un’opera “impressionista”, fatta di suggestioni e input visivi. Non ci sono dialoghi e c’è un solo personaggio, questa donna interpretata dalla bravissima Marta Gastini, attrice televisiva (I Borgia) e cinematografica attiva in Italia (Io e Maryline, Dracula 3D, La moglie del sarto) ma anche a Hollywood, dove ha recitato nell’horror esorcistico Il rito con Anthony Hopkins. La presenza di un’attrice di questo calibro è un ulteriore indizio che siamo di fronte a un lavoro non comune, che si distingue dalla massa. La recitazione è dunque fondamentale, essendo il corto giocato quasi interamente su di lei, e la Gastini regala un’interpretazione intensa e sofferta di questo personaggio misterioso che si trova avvolto in un mondo ancora più oscuro, riuscendo a trasmettere allo spettatore la sensazione di ansietà e impossibilità di fuga.
Tanith è infatti la rappresentazione di un lungo incubo senza fine, da cui la protagonista sembra svegliarsi per poi precipitare nuovamente al suo interno: un po’, se vogliamo farci un’idea, come accade a Sam Neill nel Seme della follia di Carpenter. Un’inquietante bosco, dove sta fuggendo da una minaccia ignota, una grotta che sprigiona un’ipnotica luce arancione, e poi le pareti della casa che si cospargono di foglie fino a tornare alla radura da cui si era partiti, in una fusione panica che non può lasciare indifferenti. Tanith ricorda vagamente un altro bellissimo cortometraggio, Paura dentro di Lorenzo Bianchini, fra i migliori registi horror della nuova generazione: lì vedevamo una ragazza sprofondare in un incubo dove, sempre in un bosco, era inseguita da una macabra figura, una sorta di sua “metà oscura”. Qui siamo in un territorio che lascia ancora più spazio all’interpretazione: è l’inconscio della ragazza? Un incubo nell’incubo? Allucinazioni? La descrizione della morte? O una vicenda paranormale? Il corto non vuole dare una risposta, ma immergere lo spettatore in quest’atmosfera sospesa, in cui gioca un’importanza decisiva la cura certosina dell’estetica.
Innanzitutto, va detto che l’immagine è squisitamente cinematografica, pur essendo girato in digitale, il che dà l’idea di una solida padronanza tecnica. La fotografia (Federico Gnoli e Andrea Pirrello) è raffinata e cangiante, dai vari colori del bosco (verde e marrone) al grigio della pietra, dalla luce rossa quasi “baviana” proveniente dalla grotta fino al bianco della casa, con l’aggiunta di qualche tono psichedelico; Boldorini sfoggia vari tipi di inquadrature, valorizzate poi dal montaggio di Davide D’Ascenzio: primi piani che valorizzano l’espressività della Gastini, riprese dal basso, soggettive, carrelli a ritroso e altro ancora; le musiche di Attilio Foresta Martin, che spaziano dalla morbidezza alla dissonanza, avvolgono lo spettatore in questa storia senza tempo. La grande ricercatezza estetica potrebbe far pensare a un puro esercizio di stile: ma, come si diceva all’inizio, non è il caso di Tanith, perché la regia fonde genialmente la ricerca stilistica con la narrazione a-logica e a-temporale; immagine e racconto (forma e contenuto) procedono legati in maniera indissolubile, ciascuno al servizio dell’altro.
About Davide Comotti
Davide Comotti. Bergamasco, classe 1985, dimostra interesse per il cinema fin da piccolo. Nel 2004, si iscrive al corso di laurea in Scienze Umanistiche dell’Università degli Studi di Bergamo (laurea che conseguirà nel 2008): durante gli studi universitari, ha modo di approfondire la sua passione tramite esami di storia, critica e tecniche del cinema e laboratori di critica e regia cinematografica.
Diventa cultore sia del cinema d’autore (Antonioni, Visconti, Damiani, Herzog), sia soprattutto del cinema di genere italiano (Fulci, Corbucci, Di Leo, Lenzi, Sollima, solo per citare i principali) e del cinema indipendente di Roger A. Fratter.
Appassionato e studioso di film horror, thriller, polizieschi e western (soprattutto italiani), si occupa inoltre dell’analisi di film rari e di problemi legati alla tradizione e alle differenti versioni di tali film.
Nel 2010, ha collaborato alla nona edizione del Festival Internazionale del Cinema d’Arte di Bergamo.
Scrive su "La Rivista Eterea" (larivistaeterea.wordpress.com), ciaocinema.it, lascatoladelleidee.it. Ha curato la rubrica cinematografica della rivista Bergamo Up e del sito di Bergamo Magazine. Ha scritto inoltre alcuni articoli sui siti sognihorror.com e nocturno.it.
Ha scritto due libri: Un regista amico dei filmakers. Il cinema e le donne di Roger A. Fratter (edizioni Il Foglio Letterario) e, insieme a Vittorio Salerno, Professione regista e scrittore (edizioni BookSprint).
Contatto: davidecomotti85@gmail.com
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