Un film affascinante, ma appesantito da troppi velleitarismi inutili.
Russia, in un appartamento di una qualsiasi città devastata un uomo, dipendente dalla droga krokodil, rimesta tra allucinazioni e martoriazione della propria carne. Senza mai uscire dalla casa ma viaggiando all’interno di se stesso, vede scontrarsi il desiderio di libertà con i demoni della droga e la scarnificazione effettiva che produce lentamente sul suo corpo.
La Krokodil è una droga da strada dagli effetti devastanti: squama la pelle, corrode la carne e nel giro di un paio d’anni ti uccide. E’ entrata nell’immaginario collettivo italiano grazie al programma tv Le iene: nel reportage, il giornalista Pablo Trincia trascinava lo spettatore tra le strade della Russia, faccia a faccia con un orrore di devastazione, miseria e dipendenza estrema, fatto di tossici invecchiati precocemente e di vero veleno corrosivo iniettato in vena. Per fortuna la Krokodil sembra un fenomeno ancorato soltanto ell’ex URSS, anche se si hanno notizie sporadiche della sua presenza in altre parti dell’Europa, una forma terribile di morte che incancrenisce gli arti fino a richiederne l’amputazione.
Era soltanto questione di tempo perchè il cinema si interessasse a questa nuova sciagura, e quindi ecco arrivare, persino in sala, Red krokodil, diretto da uno dei nostri registi indipendenti più pretestuosi ma anche più interessanti, quel Domiziano Cristopharo che grazie a un pugnetto di titoli praticamente invisibili ha dato il via a una vera rivoluzione intellettuale dell’underground horror. Le sue opere, fin dall’esordio con House of flesh mannequins, si fanno beffe delle etichette di categorizzazione: non sono semplici film del terrore, sono vere esperienze dove i confini del metacinema si fanno sempre più sottili, dove l’impianto teatrale di luci e colori ricorda il glorioso grand guignol, esperienza ibrida che può anche non piacere, ma non può lasciare indifferenti. Non per nulla l’opera di Cristopharo meno convincente è Bloody sin, dove si rispettano, senza terrorismo cinematografico, i classici cliché da horror gotico, questa volta debitore allo scellerato ma divertente Boia scarlatto di Massimo Pupillo.
Red Krokodil è il suo lavoro finora migliore, così ben calibrato, nella prima parte, tra intimismo e onirismo, da far gridare al capolavoro. E’ la seconda metà dell’opera che butta un po’ tutto alle ortiche: si calca troppo la mano sui simbolismi, il film diventa troppo pretestuoso e poco convincente, così goffamente artistico da essere quasi comico. Finchè l’occhio del regista stava attaccato al corpo del suo unico attore, Brock Madson, modello dal passato di tossicodipendente, la storia era interessante, tragica e disperata: è l’accumulo di intenzioni a rendere l’opera eccessivamente criptica e sbilanciata tra quello che si vorrebbe e quello che purtroppo il budget (1000 euro) non permette. E’ un peccato perchè Red Krokodil è interessante, cronenberghiano nell’affrontare la mutazione della carne, con tocchi di sincera poesia quando parla dell’alienamento di un uomo che incarna una nazione allo sbando. Visivamente potente, come la bomba atomica che si riflette negli occhi di Madson ad un certo punto, Red Krokodil è un film più di pancia che di cervello, che avrebbe meritato una sceneggiatura meno d’effetto, ma che sa alla fine terrorizzare e commuovere, anche senza scomodare Pasolini, il Mantegna o Füssli. Tanto di cappello comunque a Cristopharo.
About Andrea Lanza
Si fanno molte ipotesi sulla sua genesi, tutte comunque deliranti. Quel che è certo è che ama l’horror e vive di horror, anche se molte volte ad affascinarlo sono le produzioni più becere. “Esteta del miserabile cinematografico” si autodefinisce, ma la realtà è che è sensibile a tette e sangue.