Seguendo strade già battute, un nuovo pericolo si scatena sul Pianeta Rosso.
Ruairi Robinson, il cui nome ogni italiano pronuncerebbe come scritto mentre invece si legge Raw-ree, è un regista irlandese dalla quale aspettarsi un po’ di tutto. Che sia per la giovane età o per la sua variegata idea di Cinema, è dal 2002, da quella inaspettata nomination agli Oscar per il miglior corto d’animazione, che in molti attendevano qualcosa di più.
In quell’occasione il suo Fifty Percent Grey non conquistò l’ambita statuetta, vinta da For the Birds di Eggleston, sceneggiatore e scenografo Pixar, ma dimostrò implicitamente l’utilità di un ente quale l’Irish Film Board, l’agenzia cinematografica nazionale, raccoglitrice di fondi per la produzione e lo sviluppo della cinematografia irlandese. Facendo un paragone, si potrebbero invero spendere numerose parole riguardo come l’Italia, rispetto a molti altri paesi europei, sperperi soldi in una distribuzione che odora d’insulto pensando esclusivamente al soldo facile, ma forse sarebbe inutile se non addirittura controproducente. Si rischierebbe di fare pubblicità ad operazioni vergognose come Fuga di Cervelli, l’esordio registico di Paolo Ruffini che volentieri avemmo evitato, e dimostrare che lo spettatore medio nostrano è in fondo di una puerilità disarmante.
Fortunatamente, seppur con malcelata delusione, qualcuno in altre parti d’Europa ha capito il valore di un’associazione come l’IFB e soprattutto ha ben chiaro la necessità di un’apertura mentale in grado di far progredire e mantenere in movimento un’industria che rischia spesso la stagnazione. Così, Robinson dirige l’adattamento di un racconto breve dello scrittore inglese Sydney James Bounds, The Animators, scritto per il grande schermo da Clive Dawson, sceneggiatore principalmente televisivo con all’attivo alcuni episodi di Casualty e The Bill. L’originalità, purtroppo, è domiciliata ad un altro indirizzo, ma un film non dev’essere necessariamente originale per riscuotere un giusto successo. Tuttavia, qui siamo dalle parti del già visto in maniera eccessiva: sul Pianeta Rosso, un gruppo di ricercatori sta ultimando le operazioni di routine, ormai prossimi al viaggio di rientro. Quando uno di loro scopre la prova inconfutabile di vita su Marte, scatenerà un incubo infettivo che sconvolgerà le ultime ore di permanenza degli astronauti, costretti a confrontarsi con un nemico microscopico capace di trasformare gli esseri umani in voraci cadaveri ambulanti.
Niente di nuovo sul fronte occidentale, citava un vecchio romanzo di Remarque, e non c’è affermazione che potrebbe inquadrare meglio la situazione di Last days on Mars. La sua difficoltà nello scegliere la strada giusta da intraprendere, porta l’opera di Robinson a camminare indecisa in generi diversi e questo, inevitabilmente, crea durante il corso della narrazione una certa sensazione di déjà vu. Indubbiamente non è facile, dopo che il Cinema ci ha regalato cult inarrivabili come Alien, proporre un’opera che unisca Sci-fi e Horror senza richiamare alla mente il capolavoro di Scott o altri film successivi, ma qui non sembra neppure che regista e sceneggiatore ci abbiano provato, limitandosi al classicismo e alla schematizzazione. Nella sceneggiatura lineare di Dawson, dove ogni situazione risulta abbastanza prevedibile, tutti i personaggi sono stereotipati in ruoli specifici che li inquadrano come tasselli di un puzzle, portando velocemente a capire chi farà cosa e come. Intendiamoci, Last days on Mars non è un film deludente per incapacità narrativa, ma lo è per aspettativa: dal talento di Robinson, dal suo estro sperimentale, ci si sarebbe aspettato ben altro. Anche perché con lui non ci sono esordienti o attori poco credibili, ma personaggi come Liev Schreiber (Hurricane, The Manchurian Candidate, X-Men le origini: Wolverine, Ogni cosa è illuminata) , Elias Koteas (Tartarughe Ninja alla riscossa, Crash, Gattaca, L’Allievo, Shutter Island) e Olivia Williams (An Education, Peter Pan, Anna Karenina, The Ghost Writer), attori capaci ed esperti, che riescono ad essere sempre convincenti anche in personaggi troppo scontati.
The last days on Mars entra nel vivo della tensione senza troppi complimenti e velocemente, complice una buona regia, una scenografia essenziale ma assolutamente funzionale e un ottimo senso dello spazio. Purtroppo, il suo mix di ambientazione, atmosfera e situazioni riporta alla mente più di un riferimento non solo ai baluardi della Fantascienza , ma anche ad opere come Moon (Duncan Jones, 2009), un piccolo gioiello nella sua essenzialità, Pandorum (Christian Alvart, 2010) e il già citato Alien, film che quando si parla di commistione tra Horror e Fantascienza è impossibile non dover affrontare. Robinson non aggiunge niente al genere, e alla fine Last days risulta solo un prodotto d’intrattenimento ben fatto, ma con un rischio che ne oscura le qualità. Quello di annoiare.
httpv://youtu.be/F6JiCJ5x3Qw
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