Sul modello di Creepshow, la coppia Carpenter-Hooper dirige Body Bags (1993): un piccolo grande cult dell’horror a episodi, fra sangue e ironia
Dopo il celebre Creepshow (1983) di George A. Romero, pellicola diventata un vero e proprio cult, iniziò a diffondersi la moda del “cinema-fumetto” a episodi. Nel 1993, altri due colossi del cinema horror d’oltreoceano, John Carpenter e Tobe Hooper, realizzarono un’operazione simile con Body Bags: ne nacque un film che, pur non avendo la stessa fama del capostipite, è comunque un horror godibilissimo e di ottima fattura.
Il sottotitolo italiano Corpi estranei è adatto in realtà solo a due dei tre episodi e travisa un il significato originale, che è “sacchi per cadaveri”. L’episodio di contorno, diretto da Hooper, vede infatti Carpenter nei panni di un macabro medico legale all’interno di un obitorio, mentre rovista fra i cadaveri e si rivolge agli spettatori raccontando tre storie ispirate ai corpi, che osserva con un’attenzione morbosa e al contempo divertente. L’alternanza fra orrore e ironia è infatti un tratto distintivo del film – eredità di quegli anni Ottanta che Body Bags vuole da un lato proseguire e dall’altro omaggiare. Il gusto citazionista emerge non solo nello stile e nella narrazione degli episodi, ma anche in alcuni camei di grandi registi horror: Carpenter come narratore, ma anche lo stesso Hooper nel finale a sorpresa come addetto all’obitorio (insieme all’attore Tom Arnold), mentre nel secondo episodio compaiono Sam Raimi e Wes Craven e nel terzo Roger Corman. Il carattere fumettistico del film è sottolineato anche dall’apertura, con la parodia del celebre leone della MGM sostituito da Carpenter con la motosega all’interno di una lapide.
La qualità del lavoro, come accennato, è ottima, e gli episodi procedono secondo un crescendo di efficacia. Il primo, The gas station, è diretto dallo stesso Carpenter, e si differenzia dai due successivi per la mancanza dell’elemento soprannaturale. Protagonista è una bella studentessa che inizia a lavorare in una stazione di servizio per il turno di notte: si trova così immersa fra strani personaggi – un barbone, una coppia sballata, un uomo che la vuole rimorchiare – ma il vero pericolo viene da un serial killer (Robert Carradine) che si aggira nei paraggi e che raggiunge proprio la sventurata. Chiusa nella stazione di servizio, deve difendersi come può. Carpenter ripropone dunque il tema a lui caro dell’assedio in luoghi da cui è impossibile fuggire (Distretto 13, Il signore del male, La cosa, The fog) e si diverte a citare se stesso con il riferimento ad Haddonfield, che è la città teatro del suo film horror per antonomasia, Halloween. The gas station è giocato tutto sulla tensione creata dal pericolo incombente e dalla minaccia che può arrivare da ogni parte, e infine sulla lotta per la vita che si instaura fra la donna e lo psicopatico. Non mancano le scene gore e splatter: il cadavere che cade dall’armadio, il vecchio con la gola tagliata e soprattutto il sangue a profusione che schizza dal corpo nel finale.
Il secondo episodio, firmato da John Carpenter, è diretto in realtà da Larry Sulkis. Hair ha come protagonista Richard (Stacy Keach), un uomo di mezza età ossessionato dalla calvizie al punto di cadere in depressione. Dopo aver provato senza successo tutti i rimedi possibili, decide di sperimentare il metodo innovativo del dottor Lock, pubblicizzato in tv. All’inizio la cura sembra fare effetto, ma pian piano i capelli iniziano a crescere a dismisura in tutto il corpo, prendendo vita autonoma. L’uomo scopre così che il dottore e la sua assistente sono alieni in cerca di cavie umane da colonizzare. Se il primo episodio era giocato tutto sulla tensione, qui entriamo nel territorio del soprannaturale, con una vicenda all’insegna dell’esagerazione e del divertimento. La prima parte scorre un po’ lenta, con l’assurda mania dei capelli e i litigi con la partner, poi l’episodio ingrana la marcia e mostra una deformazione del corpo quasi croneneberghiana, perturbante ma al contempo grottesca (il film non si prende troppo sul serio): vediamo il corpo dell’uomo in progressivo disfacimento, con pustole purulente e lunghi peli che si rivelano dei piccoli “serpenti” che gridano e mordono, fino alla conclusione in cui li vediamo uscire dagli occhi e dalla carne. Tutto l’episodio è all’insegna dell’eccesso, dai caratteri dei personaggi al disfacimento della carne: Sulkis sembra “fare il verso” da un lato proprio a Cronenberg, dall’altro ai film di fantascienza tipo Invasione degli Ultracorpi, mettendo in scena anche degli alieni di forma umana che ricordano i loro simili del cult imprescindibile Bad Taste (1987) di Peter Jackson.
Il terzo episodio, Eye, è sicuramente il migliore. Diretto da un Tobe Hooper sempre in forma, è il più angosciante e sanguinario dei tre, e anche quello costruito meglio dal punto di vista narrativo. La vicenda racconta di Brent (Mark Hamill), un giocatore di baseball che perde un occhio in seguito a un incidente. Disperato, accetta la proposta del dottor Bregman, che vuole sperimentare per la prima volta un trapianto di occhio: a Brent viene dunque inserito un bulbo oculare preso da un cadavere, e l’uomo recupera la vista. Ma qualcosa non va: Brent è soggetto a continui mal di testa e a orribili visioni di cadaveri e corpi straziati. Indagando, scopre che l’occhio trapiantato apparteneva a un serial killer condannato a morte. Torna quindi il tema soprannaturale del “corpo estraneo”, virato però in senso non più grottesco ma angosciante: Eye è un piccolo capolavoro di suspense, splatter ed elemento macabro, sapientemente dosati. A cominciare dall’occhio trafitto, dettaglio quasi fulciano che tornerà anche alla fine, e proseguendo con le terribili allucinazioni che tormentano il protagonista: la ragazza-zombie che sorge dalla terra, la mano che sbuca dal lavandino in un tripudio di sangue, la moglie che si trasforma in un cadavere semi-decomposto. Eye risulta inquietante anche quando non vediamo sangue (e in questo Hooper è un maestro, basti ricordare Non aprite quella porta): pensiamo allo scorcio di cadavere che Hamill trova sottoterra, o alla madre alcolizzata che sevizia il bambino, futuro serial killer. Una serie di immagini angoscianti che viaggiano sempre sul doppio binario di realtà e follia, e proprio per questo così perturbanti. Notevole anche il topos del trauma infantile come causa della violenza, e il tema del corpo estraneo trapiantato che fa vivere all’ospite ricordi della vita precedente, fino a impossessarsi di lui trasformandolo in un uomo violento: un elemento ricorrente nel cinema horror, a cominciare da Le mani dell’assassino (1962) di Newton Arnold.
httpv://youtu.be/TLuApEHt4h4
About Davide Comotti
Davide Comotti. Bergamasco, classe 1985, dimostra interesse per il cinema fin da piccolo. Nel 2004, si iscrive al corso di laurea in Scienze Umanistiche dell’Università degli Studi di Bergamo (laurea che conseguirà nel 2008): durante gli studi universitari, ha modo di approfondire la sua passione tramite esami di storia, critica e tecniche del cinema e laboratori di critica e regia cinematografica.
Diventa cultore sia del cinema d’autore (Antonioni, Visconti, Damiani, Herzog), sia soprattutto del cinema di genere italiano (Fulci, Corbucci, Di Leo, Lenzi, Sollima, solo per citare i principali) e del cinema indipendente di Roger A. Fratter.
Appassionato e studioso di film horror, thriller, polizieschi e western (soprattutto italiani), si occupa inoltre dell’analisi di film rari e di problemi legati alla tradizione e alle differenti versioni di tali film.
Nel 2010, ha collaborato alla nona edizione del Festival Internazionale del Cinema d’Arte di Bergamo.
Scrive su "La Rivista Eterea" (larivistaeterea.wordpress.com), ciaocinema.it, lascatoladelleidee.it. Ha curato la rubrica cinematografica della rivista Bergamo Up e del sito di Bergamo Magazine. Ha scritto inoltre alcuni articoli sui siti sognihorror.com e nocturno.it.
Ha scritto due libri: Un regista amico dei filmakers. Il cinema e le donne di Roger A. Fratter (edizioni Il Foglio Letterario) e, insieme a Vittorio Salerno, Professione regista e scrittore (edizioni BookSprint).
Contatto: davidecomotti85@gmail.com
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