In Asylum tornano gli Zombie, tra splatter artigianale, CG pessima e un Danny Trejo che nulla può per salvare la situazione.
Zombie. Ovunque ci si volti, sembra che ultimamente i morti viventi della tradizione cinematografica abbiano realmente invaso il mondo. Certamente grande merito, o grande colpa a seconda dei punti di vista, spetta al gioiello di Robert Kirkman, The Walking Dead, adattato inizialmente per la AMC da Frank Darabont, regista, sceneggiatore e produttore, famoso per film come Il Miglio Verde e Le Ali della Libertà.
Naturalmente a casa Asylum ne hanno ampiamente approfittato e dopo Zombie Apocalypse e Abraham Lincoln vs Zombies, ecco Rise of the Zombies. Non serve più chiarire cosa sia l’Asylum, salita alla ribalta in maniera definitiva con quello Sharknado che ha sconvolto i più suscettibili e animato la rete, e non serve più nemmeno specificare quali siano le sue particolarità. La casa di produzione americana, da sempre specializzata in mockbuster, assesta un nuovo colpo alla salute cinematografica degli amanti dell’horror e lo fa, incredibilmente, senza copiare niente. O quasi.
Rise of the zombies, da non confondersi con l’omonimo film indiano diretto da Luke Kenny e Devaki Singh, è giunto in Italia con il titolo Il Ritorno degli Zombie e sebbene non richiami nessun film già uscito nelle sale è palese, guardandolo, che abbia mutuato più di un elemento proprio da The Walking Dead. Peccato che, come al solito, tra gli elementi non ci sia la qualità.
Un gruppo di sopravvissuti all’epidemia che ha trasformato San Francisco in una città di non morti trova rifugio sull’isola di Alcatraz, poco alla volta però sempre più vessata dagli attacchi di zombie arrivati dal mare, probabilmente spinti dalla marea. Quando decidono di abbandonarla per avere maggiori probabilità di sopravvivenza, il gruppo si divide. Mentre il dottore resta sull’isola per continuare gli esperimenti in cerca di una cura, i restanti saranno costretti ad una scelta fra tentare di salvarsi andando al punto di recupero e provare a raggiungere l’unica persona che sembra aver trovato un antidoto.
Descritta in questo modo, la trama potrebbe sembrare valida, ma non bisogna mai dimenticarsi che dietro a tutto c’è sempre l’Asylum, sinonimo di delirio cinematografico. E Rise rispetta, in questo senso, le aspettative, iniziando con il botto: quattro persone, tra cui una donna incinta, fuggono a bordo di un auto, falciando manichini e zombie in pessima CG ad ogni metro fino a quando intravedono il poco distante porto, raggiungibile tramite una discesa a tornanti. Sarebbe naturale, essendo fuori pericolo e ormai prossimi alla meta, rallentare l’andatura per evitare un incidente, ma quando al volante c’è un personaggio nato dalla penna di Keith Allan e Delondra Williams, gli sceneggiatori di Ragin Cajun Redneck Gators, ci si può aspettare tutto fuorché logica e capacità di giudizio. Quindi ecco l’auto ribaltarsi ai primi tornanti e in un tripudio di CG oscena rotolare su se stessa seguendo tutte le curve fino ad arrivare alla base. Con un inizio simile è chiaro che la misera speranza di una piccola dose di decenza sia veleggiata verso altri lidi.
E proseguendo con la visione, la situazione non migliora, tra personaggi usati come meri pretesti, senza alcun approfondimento visto che a quanto pare sono solo carne da macello per gli effetti splatter artigianali inaspettatamente rispolverati, e scene ridicole che non riescono a strappare neppure un sorriso divertito. Parlare di Asylum non è mai facile, perché esiste un confine molto labile che separa il trash involontario da quello volutamente esagerato e loro sono in grado di muoversi in bilico sul ciglio, con un piede che ogni tanto scivola, ma viene subito recuperato. La casa californiana è conscia e credo ormai si diverta a sfornare beceri lungometraggi che altro merito non hanno se non quello di lasciarsi insultare e, rare volte, divertire per il loro eufemistico eccesso. In Rise of the zombies troviamo ovviamente un altro marchio distintivo tanto amato da Rimawi, Strain e Latt, e cioè l’utilizzo di vecchie star in declino o già decadute, con pochissime e anzi quasi uniche eccezioni. Non è sorprendente quindi veder spuntare il viso decisamente invecchiato di Mariel Hemingway, la candida Tracy dello splendido Manhattan di Woody Allen, ma è invece un po’ più sorprendente notare la presenza di attori di ben altro livello, sebbene anche solo in termini di attuale popolarità. Così tra Ethan Suplee (American History X, Cold Mountain, The Fountain), Chad Lindberg (The Fast and The Furious, I Spit on you Grave, Supernatural) e Levar Burton (Roots, Star Trek: the Next Generation, Alì) ecco spuntare il caratterista del momento, l’uomo che Robert Rodriguez ha portato al top della fama come protagonista indiscusso della presunta rinascita exploitation, Machete. Naturalmente sto parlando di Danny Trejo, che fa una piccola parte, senza particolari spunti recitativi, che nessuno però si aspetta. Il loro impegno è apprezzabile, ma vano, perché la regia di Nick Lyon, già autore di Zombie Apocalypse, è frenetica e incasinata, quando non si placa su inquadrature semplici e banali, che a questo punto sono la cosa migliore.
Rise of the zombies è un prodotto qualitativamente scarso, ma una cosa bisogna dirla con sincerità. L’Asylum è una gabbia di matti, di gente conscia di ciò che produce, tuttavia, se i livelli si adagiano su film come questo, allora che l’esempio di Sharknado torni a regnare sovrano, perché almeno lì, consapevoli di ciò che si sta guardando, il divertimento ignorante con gli amici lo si gode appieno.
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