Non violentate Jennifer (1978) di Meir Zarchi, un film crudo e scioccante che costituisce una pietra miliare del rape & revenge
Nel 1972, Wes Craven aveva sconvolto le platee con L’ultima casa a sinistra, il film che codifica la struttura del rape & revenge (“stupro e vendetta”). Nel 1978, l’esordiente Meir Zarchi dirige un’altra pietra miliare del genere, Non violentate Jennifer (nell’originale Day of the woman, poi cambiato in I spit on your grave, “sputo sulla tua tomba”), feroce e disturbante quanto il capostipite, e proprio per questo motivo pluricensurato.
La storia è scritta dallo stesso Zarchi e, stando a quanto afferma, prende spunto da una vicenda a cui lui ha assistito. Protagonista è l’aspirante scrittrice newyorkese Jennifer Hills (Camille Keaton), che decide di affittare una casa fuori città per scrivere il suo primo romanzo: la villetta, situata all’interno di un bosco e in riva al fiume, offre la quiete necessaria, ma la donna viene avvicinata da quattro ragazzi del luogo che la stuprano e seviziano ripetutamente. Dopo essersi lentamente ripresa, Jennifer pianifica una crudele vendetta che colpirà inesorabilmente tutti i suoi aguzzini.
Non violentate Jennifer è innanzitutto un’ulteriore dimostrazione di come molti classici dell’horror siano nati da registi che oggi chiameremmo “indipendenti” (L’ultima casa a sinistra, Non aprite quella porta, Halloween, La casa), che con passione e coraggio hanno dato origine a punti di riferimento imprescindibili del genere. I spit on your grave, che gode fra l’altro di un ottimo e omonimo remake (Steven R. Monroe, 2010), è improntato al maggior realismo possibile, a una messa in scena nuda e cruda della realtà e della violenza che, pur non eccedendo nell’esibizione del sangue, risulta oltremodo agghiacciante. A questo contribuisce in maniera decisiva l’assenza di una colonna sonora, una scelta di regia funzionale alla costruzione di un’atmosfera quasi “documentaristica”. Sentiamo solo i rumori di quanto accade in scena, per esempio i suoni della natura e le urla strazianti, prima di Jennifer e poi dei suoi carnefici: le grida sono la vera colonna sonora del film, che lo rendono ancor più un pugno nello stomaco per lo spettatore. Le uniche musiche presenti sono quelle (brevi) intradiegetiche, fra cui spiccano l’ossessivo motivetto suonato con l’armonica da uno dei quattro e l’aria lirica che la protagonista ascolta mentre la sua vittima muore dissanguata.
La struttura è quella classica del rape & revenge (codificata da Craven e sviluppata da Zarchi in questo film), che sarà il punto di riferimento per numerose opere successive, più o meno riuscite. Dopo la presentazione dei personaggi, la prima parte è dedicata al “rape”, con la ragazza ripetutamente stuprata, picchiata e umiliata (prima nel bosco, poi in casa); segue il “revenge”, con la pianificazione e l’esecuzione quasi scientifica dell’uccisione dei quattro uomini (che è anche il momento in cui il sangue trova più spazio). La violenza è sempre brutale e impressionante, grazie anche alla reiterazione temporale che non concede fiato allo spettatore. Strepitosa è la protagonista Camille Keaton: sorella della più celebre Diane, ha esordito in Italia nel celebre thriller Cosa avete fatto a Solange?, proseguendo la carriera nel cinema di genere nostrano; la consacrazione a livello internazionale, nonché la sua migliore performance, avviene però proprio con questo film (ed è tuttora attiva: ricordiamo The butterfly room). La Keaton si cala a meraviglia in un ruolo difficilissimo (soprattutto nella prima parte, fra gli stupri e le scene nel fango): dopo essere diventata una specie di “animale selvaggio” (abbrutita sia fisicamente che psicologicamente), si trasforma in una letale mantide che, nella sua lucida follia e sete di vendetta, seduce le future vittime per poi ucciderle senza pietà. Memorabili gli omicidi, fra il ritardato Matthew impiccato mentre sta per raggiungere il suo primo orgasmo, il “capobanda” Johnny evirato nella vasca da bagno, fino ai due ragazzi uccisi nel fiume durante il lungo finale (uno colpito alla schiena da un’accetta, l’altro falciato dalle eliche del motoscafo). Anche i caratteri degli stupratori non sono mai stereotipati e banali, bensì differenziati (pur nella loro crudeltà) secondo uno schema già accennato nell’Ultima casa a sinistra e che sarà ripreso in molti rape & revenge successivi: c’è il leader del gruppo, i gregari che lo seguono e un minorato che è nel contempo carnefice della donna e vittima delle derisioni dei suoi compagni.
Non violentate Jennifer, all’occhio di chi scrive, sembra avere una certa derivazione dal thriller di John Boorman Un tranquillo weekend di paura (1972): l’ambientazione nella natura (in contrapposizione alla crudeltà dell’uomo), gli abitanti “selvaggi” del luogo che brutalizzano chi passa sul loro territorio, il suono dell’armonica che sostituisce il banjo presente nel film di Boorman. Tale influenza non è sicura, ma sta di fatto che, dopo questi modelli, il cinema horror pullula di gite nel bosco culminanti in atrocità.
httpv://youtu.be/icjMV9SDRr8
About Davide Comotti
Davide Comotti. Bergamasco, classe 1985, dimostra interesse per il cinema fin da piccolo. Nel 2004, si iscrive al corso di laurea in Scienze Umanistiche dell’Università degli Studi di Bergamo (laurea che conseguirà nel 2008): durante gli studi universitari, ha modo di approfondire la sua passione tramite esami di storia, critica e tecniche del cinema e laboratori di critica e regia cinematografica.
Diventa cultore sia del cinema d’autore (Antonioni, Visconti, Damiani, Herzog), sia soprattutto del cinema di genere italiano (Fulci, Corbucci, Di Leo, Lenzi, Sollima, solo per citare i principali) e del cinema indipendente di Roger A. Fratter.
Appassionato e studioso di film horror, thriller, polizieschi e western (soprattutto italiani), si occupa inoltre dell’analisi di film rari e di problemi legati alla tradizione e alle differenti versioni di tali film.
Nel 2010, ha collaborato alla nona edizione del Festival Internazionale del Cinema d’Arte di Bergamo.
Scrive su "La Rivista Eterea" (larivistaeterea.wordpress.com), ciaocinema.it, lascatoladelleidee.it. Ha curato la rubrica cinematografica della rivista Bergamo Up e del sito di Bergamo Magazine. Ha scritto inoltre alcuni articoli sui siti sognihorror.com e nocturno.it.
Ha scritto due libri: Un regista amico dei filmakers. Il cinema e le donne di Roger A. Fratter (edizioni Il Foglio Letterario) e, insieme a Vittorio Salerno, Professione regista e scrittore (edizioni BookSprint).
Contatto: davidecomotti85@gmail.com
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