Cala il Sipario sulle noiose avventure di Chester’s Mill, nell’attesa per nulla sentita della seconda stagione.
È finita. Prendete questa affermazione con l’emozione che preferite, sia essa di gioia o tristezza Under the Dome è giunto finalmente al gran finale di questa deludente prima stagione. Exigent Circumstances e Curtains sono gli ultimi due episodi della prima serie, quelli che dovrebbero perpetrare l’interesse, risvegliarlo oppure ucciderlo definitivamente. La cosa curiosa e inaspettata, è che proprio Exigent risulti il miglior episodio della stagione, una puntata dove gli sceneggiatori sembrano riusciti in un intento a questo punto mitico: fare decentemente il loro lavoro.
Senza arroganza o presunzione, le undici puntate che l’hanno preceduta sono state una corsa sulle montagne russe, dove l’apice della salita risultava sempre e comunque inferiore alle aspettative o alla logica di una serie che forse nemmeno i suoi creatori hanno ben compreso. La fiera delle banalità si prende quindi una pausa e quasi tutto fila liscio, trascinando lo spettatore con un pizzico di rinato interesse verso il finale, Curtains. Pare incredibile e il commento sarebbe superfluo, ma se Stato di Emergenza dava notevoli segnali di ripresa, Sipario insegna che non bisogna mai farei conti senza l’oste.
La fuga di Dale ha vita breve, poiché l’ex soldato è abbastanza intelligente da ricordarsi di stare sotto una cupola invalicabile e quindi di non poter scappare. Deciso a proteggere Julia, ancora incosciente all’ospedale e controllata da Junior, chiede aiuto ad Angie e insieme riescono a farla fuggire. Conscio della situazione, Dale si fa catturare e finisce in carcere, pronto per essere processato nella farsa organizzata da Jim Rennie. Il cattivissimo Big Jim, che continua a far finta di non chiamarsi come un pupazzo Mattel e quindi di essere credibile, dimostra sempre più la sua fredda e lucida malvagità, continuando la mattanza e convincendo tutti della colpevolezza di Dale, persino Linda, una delle macchiette peggiori di tutta la serie. Exigent Circumstances, tuttavia, fa bene il suo lavoro e non da tregua: i fantastici quattro proteggono l’uovo e la mini cupola, spostandola in casa del cliché amico di Joe, dove il bozzolo si schiude liberando la farfalla monarca. È vero, i personaggi sembrano sempre utilizzati più come pretesto che come veri protagonisti, ma dopo undici episodi costituiti da forzature e noia mortale, ogni buon presupposto deve venir preso con un regalo a natale. Una puntata giocata per intero sulla tensione è una manna, e si arriva alla fine con la voglia di vedere cosa succederà a tutte le macchiette, perché comunque tali restano, catturate in questo gioco. Con questa premessa inizia il finale di stagione, con il sorriso abbozzato di chi finalmente vede qualcosa di buono. Tempo zero e il sorriso si spegne.
Curtains ci mette pochissimo a farsi detestare, a maggior ragione dopo il discreto lavoro del precedente episodio. La suspance si spegne minuto dopo minuto, in un tripudio di pessima CG, regia malridotta, soluzioni ridicole e personaggi che chiamarli in questo modo è davvero sintomo di pietà. Quella pietade di dantesca memoria, che meglio saprebbe descrivere la sensazione provata dopo quest’accozzaglia di forzature e trovate prive di qualsivoglia brio, con la semplice e sublime chiusura del quinto canto dell’Inferno. Perché qui sembra di stare realmente nell’inferno dei serial mal progettati e quindi, quel “E caddi come corpo morto cade” è chiusura adatta e irreprensibile.
Patiboli di legno eretti in dieci minuti neanche fossero comprati da Ikea, alieni sibillini, colpi di scena che non riescono a colpire perché congegnati invero troppo male, piccole macchiette, Linda su tutte, che non strappano più nemmeno un’espressione di disprezzo, discorsi patetici e di nuovo forzature impressionanti, conseguenza di totale mancanza di idee su come riempire i buchi creati da una sceneggiatura altalenante e sempre tendente al peggio. Infine, un cliffhanger forse logico, ma forzato a tal punto da non suscitare troppo interesse.
Questo è Under the Dome, l’occasione mancata di esplorare non solo un piccolo universo Kinghiano, ma anche le dinamiche sociali, morali ed umane di un gruppo di persone rinchiuse all’interno di mura invalicabili. L’unico motivo per cui si potrebbe consigliare la visione di una seconda stagione è la presenza confermata di Stephen King alla sceneggiatura del primo episodio. Non ci è dato sapere se il Re riuscirà a migliorare un prodotto che è sempre stato mediocre, con pochi spunti di interesse e trattati male. Ognuno si prenda il rischio, se pensa che ne valga la pena. Per tutto quello che Dome ci ha mostrato in tredici episodi, l’unico consiglio che posso dare è di non perdere tempo e veleggiare verso lidi più meritevoli.
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