Un sanguinolento scontro tra criminalità e pura follia: Kitamura back to Hollywood!
Mass murderer: soggetto ignoto o conosciuto che uccide quattro o più persone nello stesso luogo e nello stesso momento, solitamente senza conoscere le vittime dell’attacco. Parlando di No One Lives è giusto tenere presente questa specifica tipologia di omicida, poiché il film di Ryūhei Kitamura spinge sull’acceleratore di un delirante confronto tra criminali di diverso stampo.
No One Lives è un accattivante delirio e se il nome alla regia non fosse quello dell’autore di Versus, Azumi e Midnight Meat Train, tutto quanto avrebbe assunto connotati diversi e il giudizio sarebbe stato differente. Ma così non è, e questo è un Kitamura che tanto a suo agio non sembra sentirsi, nonostante la regia sia quanto di meglio ci abbia mostrato sinora. La sceneggiatura dell’esordiente David Cohen ci porta in viaggio insieme ad una strana coppia, Betty (Laura Ramsey) e l’apparente fidanzato senza nome (Luke Evans). Durante una sosta vengono importunati da un criminale dal grilletto facile che poco dopo li coinvolge in un incidente rapendoli e segregandoli nel covo della sua banda di ladri. Purtroppo, l’allegra famiglia di delinquenti non sa che il personaggio appena sequestrato non è ciò che sembra e, dopo aver trovato una ragazza scomparsa nascosta nel bagagliaio della sua auto, uno ad uno lo scopriranno nei modi più sanguinolenti possibili.
Provando a non svelare troppo, questa è la trama di No One Lives e più che una trama parrebbe un pretesto. Per cosa? Sangue, feticismo, immagini truculente e un abbozzo di sindrome di Stoccolma malamente congegnata. Purtroppo, anche senza voler svelare i dettagli, il film è tutto qui, non c’è nient’altro all’orizzonte. Nessun problema, si spenga il cervello, 86 minuti di piacevole divertimento tra frattaglie e violenza gratuita, sgranando gli occhi allucinati per le trovate di Kitamura. Ma qui fermi tutti. La frase sarebbe perfetta, inappellabile, se prima del punto non ci fosse quel nome. Ryûhei Kitamura, giapponese, classe 1969, è un regista piuttosto amato in patria, che si è reso famoso in occidente per l’adattamento cinematografico di un racconto di Clive Barker, Macelleria Mobile di Mezzanotte, da noi adattato in Prossima Fermata: l’Inferno. Un regista particolare, eccessivo, non un virtuoso della macchina da presa ma nemmeno uno sprovveduto. Da Heat After Dark (1996) a Versus (2000), da Azumi (2003) a Godzilla: Final Wars (2004) fino a Midnight Meat Train (2008), Kitamura ha dimostrato una certa libertà di espressione, anche quando le sceneggiature erano solo adattamenti di manga. Quindi, come già detto, non un virtuoso ma un divertente e divertito esponente di un modo di fare cinema tipico del Sol Levante, che forse qui in occidente mal si sposa con il gusto dello spettatore medio. E questo No One Lives mostra esattamente quelle che sembrano le zavorre di un Ryûhei trapiantato a Hollywood.
Una sceneggiatura piatta, incapace di tratteggiare a dovere i personaggi, che punta solo sui rari momenti spettacolari, la cui spettacolarizzazione, affidata a sangue e violenza, sembra però mitigata da un regista che non si sente libero di fare ciò che vuole. L’opportunità di costruire un plot originale pur partendo da uno stereotipo, una coppia in viaggio sequestrata da criminali, è stata spazzata via da scelte poco felici. Ed ecco che ritorna quel mass murderer di cui parlavo all’inizio: il protagonista senza nome è un killer, ma non uno qualunque, perché lui compie omicidi di massa. Le possibilità insite in una trama del genere sono moltissime, da una parte un gruppo di criminali, ladri e assassini, dall’altra un uomo che non batte ciglio nel compiere stragi. Di per sé uno scontro inimmaginabile, poiché in questo film i “buoni” non esistono. Non ci sono, non servono. Cosa può ricavare uno sceneggiatore in gamba da un’idea simile? Qualunque cosa: combattimenti, violenza, sangue, colpi di scena, sorprese, persino domande etiche e sviluppi psicologici. Cosa ci ha ricavato David Cohen? Un Terminator con il volto di Luke Evans, invincibile e inarrestabile, sempre una spanna sopra i suoi avversari, che fanno una figuraccia dietro l’altra, manco fossero ruba galline, che non si scompone mai e sembra un Dio tra gli uomini, che muove i fili del destino di tutti. Persino il suo rapporto con Emma (Adelaide Clemens), riguardante quella Sindrome di Stoccolma cui ho già accennato, ha pochissimo mordente e si risolve in un gesto che più di bontà è di onnipotenza.
In questo panorama, Kitamura dimentica di essere Kitamura, dirigendo sì con più tecnica del solito, ma con anche meno inventiva, meno brio e vivacità. Pur avendo a disposizione un cast che regge perfettamente le parti, a partire da Evans, carismatico quanto basta, alla fine resta poco e non si riesce a parteggiare per nessuno, forse nemmeno per Emma.
Secondo film hollywoodiano per Ryûhei, dove purtroppo non riesce l’effetto Versus: se lì trama inesistente faceva coppia con punti di forza ottimizzati al massimo, in No One Lives persiste la spiacevole sensazione che né l’una né gli altri siano stati presi troppo in considerazione.
httpv://youtu.be/7Eiko_J6mfE
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