Horror senza nerbo né atmosfera, quasi un telefilm da Sabato di Rai 2.
Nella nuova casa in cui si trasferisce la numerosa famiglia Perron si verificano strane apparizioni e rumori inquietanti fino a vere e proprie manifestazioni paranormali. La situazione è rischiosa e poco sostenibile, così vengono chiamati Lorraine e Ed Warren, coniugi che lavorano a fianco del Vaticano nella rilevazione e cacciata delle presenze demoniache. I due rilevano un’attività fervente oltre ad un numero impressionante di presenze così potenti da non poter attendere le autorizzazioni vaticane o l’arrivo dei prelati ma dover agire in prima persona.
James Wan è uno di quei rarissimi casi di regista che, film dopo film, hanno tradito (in positivo) le premesse dell’opera prima. Il suo Saw, capitolo uno di una fortunatissima serie, era il marchio principe, con Hostel, del filone torture porn, tanto sangue, sadismo e immagini videoclippate, retaggio del Seven di un decennio primo. Era prevedibile intuire la strada che il giovane Wan (malese, classe 1977) avrebbe intrapreso, ma i due film successivi sorpresero tutti: Dead silence si rivelò un horror di grandissima atmosfera e Death sentence un omaggio a Il giustiziere della notte.
Peccato che questi interessantissimi parti (più dello strombazzato Saw) incassarono pochissimo relegando il nome del regista nell’oblio della serie B. Fortunatamente il successivo Insidious, horror old style dal budget modestissimo, ottenne un grandioso successo di pubblico rilanciando la carriera di Wan. Questo nuovo L’evocazione purtroppo non è al livello dei precedenti lavori del regista: una pellicola che non spaventa mai, ottima solo sul piano tecnico. Wan è bravo a ricostruire gli anni 70, non solo nell’ambientazione ma proprio nella concezione stilistica della storia, ma tutto purtroppo sembra di maniera. La storia prende spunto da fatti davvero accaduti: i coniugi Warren, esperti di occultismo, furono protagonisti di molte vicende inquietanti ispirando film di una certa fama come Amytiville horror o Il messaggero. A prestare loro il volto l’affascinante Vera Farmiga, vista recentemente nel telefilm Bates Motel, e Patrick Wilson, protagonista del precedente Insidious, in perfomance ad alto livello recitativo, anche se, come spesso accade negli horror, a rubare la scena a tutto il cast è l’attrice che si prende carico del ruolo più urlato e caciarone, quello dell’indemoniata.
A rivestirne i panni la comunque brava Lili Taylor, attrice che viene dai drammatici di Abel Ferrara e che con l’horror ha avuto a che fare pochissimo grazie soprattutto allo struggente The Addiction (sempre Ferrara) e al disastroso Haunting. Diciamo subito che il film inizia col botto raccontando un episodio che rimarrà marginale alla vicenda (una bambola demoniaca) molto inquietante e dalla grande atmosfera, purtroppo però quasi subito inizia la vera (banale) storia. Dovrebbero per legge proibire agli horror moderni di riutilizzare i soliti clichè strabusati per spaventare: diventano villipendio non solo al genere, ma all’intelligenza dello spettatore, un modo alternativo per conciliare il sonno dei tanti spettatori. Dispiace perchè Wan, come già detto, è bravissimo, fa scattare l’applauso quando crea un piano sequenza azzardato, quando ribalta la visione soggettiva di 180 gradi quasi fossimo sulle montagne russe, ma non ha più idee originali, il suo è un continuo riciclare situazioni già utilizzate nei precedenti Insidious e Dead silence senza un solo guizzo narrativo. I suoi personaggi, dapprima abbozzati con gusto, vivono la cattiva qualità di una sceneggiatura che fa compiere loro azioni improbabili generando nel pubblico in sala la risata, morte di ogni un horror d’atmosfera. Wan forse avrà per la testa il nuovo capitolo di Insidious o la regia inedita per il settimo Fast and furious, peccato che in questo momento di crisi artistica a farne le spese siano gli spettatori paganti. Questo sì che è imperdonabile.
About Andrea Lanza
Si fanno molte ipotesi sulla sua genesi, tutte comunque deliranti. Quel che è certo è che ama l’horror e vive di horror, anche se molte volte ad affascinarlo sono le produzioni più becere. “Esteta del miserabile cinematografico” si autodefinisce, ma la realtà è che è sensibile a tette e sangue.