Dopo il remake dell’omonimo cult di Meir Zarchi, Steven R. Monroe dirige anche il sequel I spit on your grave 2 (2013): un film straordinario, feroce e disturbante
Non violentate Jennifer (1978) di Meir Zarchi, una delle pietre miliari del rape & revenge insieme a L’ultima casa a sinistra, nel titolo originale è I spit on your grave (“sputo sulla tua tomba”). Con lo stesso titolo, l’americano Steven R. Monroe ne realizza uno straordinario remake (2010) e un altrettanto ottimo sequel (2013) dal titolo I spit on your grave 2, entrambi con Zarchi fra i produttori esecutivi.
Si tratta, in realtà, di un sequel molto sui generis, perché cambia completamente ambientazione e personaggi pur mantenendo lo stesso canovaccio. La protagonista è Katie (Jemma Dallender), un’aspirante fotomodella di New York che contatta uno studio fotografico per la realizzazione di un book. Dopo aver capito la natura equivoca dell’ambiente decide di allontanarsi, ma i tre fratelli proprietari la raggiungono in casa. Sequestrata, stuprata e drogata, al suo risveglio si ritrova prigioniera in una cantina in Bulgaria, dove viene torturata e di nuovo violentata dal padre dei tre, una famiglia di loschi individui che rapiscono ragazze americane. Sopravvissuta incredibilmente alla morte, si stabilisce nei sotterranei della città e pianifica la sua vendetta, che colpirà tutti gli aguzzini in maniera altrettanto feroce e sanguinaria.
Chi scrive è di solito diffidente nei confronti di remake e sequel, ma in questo caso ci troviamo di fronte a due film eccezionalmente crudeli e disturbanti che, insieme all’originale, danno vita a una trilogia assolutamente da non perdere per gli amanti del genere. Dopo I spit on your grave, che ripropone abbastanza fedelmente le atmosfere del film di Zarchi, Monroe decide in maniera intelligente di variare un po’ per quanto riguarda il sequel: cambia ambientazione e personaggi, e unisce alla struttura tipica del rape & revenge elementi presi da Non aprite quella porta (la famiglia malata e disfunzionale) e da Hostel (l’ambientazione nell’Est Europa). I spit on your grave 2 rappresenta la forma più compiuta sia del rape & revenge che del torture-porn (due generi di per sé strettamente connessi), dal momento che fonde la cruda violenza dello stupro e della vendetta con una rappresentazione dettagliata delle torture.
La brutalità viene letteralmente sbattuta in faccia allo spettatore in tutte le sue forme possibili e immaginabili, raggiungendo livelli di ferocia al limite della sopportazione (pensiamo al primo stupro subito dalla ragazza e alla lunga sequenza della tortura col bastone elettrico sulle note di un’aria lirica). Ma la musica, come insegna Zarchi (e Monroe assimila abilmente), è ridotta al minimo, perché la vera colonna sonora del film devono essere le urla della ragazza e poi dei carnefici, in modo da creare un’atmosfera il più possibile realistica. Sul modello dei due film precedenti, nella prima parte il sangue trova poco posto, ma la violenza è ugualmente disturbante, sia nella versione fisica (lo stupro, le scariche elettriche, le percosse) che psicologica (le continue umiliazioni e minacce a cui è sottoposta la sventurata). L’atmosfera è angosciante e claustrofobica in ogni inquadratura (ricordiamo pure Katie incatenata alla sbarra e poi chiusa in una cassa, sempre con urla strazianti e terribilmente realistiche, un elemento fondamentale del film). Dopo aver vissuto nei sotterranei come una “ragazza selvaggia”, Katie non è più la stessa persona e inizia la sua vendetta, in un crescendo ulteriore di violenza con l’aggiunta di effetti splatter e gore. La ragazza sequestra e tortura i suoi aguzzini secondo una specie di “legge del contrappasso” (anche se questo era più evidente nel film del 2010), facendogli cioè rivivere le stesse angherie a cui era stata sottoposta lei stessa. La messa in scena degli omicidi, che avvengono sempre nei sotterranei, è ingegnosa e ripresa nei minimi dettagli: uno viene legato e tagliuzzato in varie parti lasciandolo infettare, al fratello stringe i testicoli con una morsa fino a spappolarli, il vecchio viene torturato con la corrente facendolo bruciare vivo, e altro ancora.
Bravissima la protagonista, e curata anche la caratterizzazione degli altri personaggi: che, se da un lato ricalcano un po’ gli stereotipi del genere (il ragazzo che comanda, lo psicolabile, il drogato), sono però affiancati da altri caratteri come il viscido padre e la “madre” regredita a uno stadio infantile. Immancabile anche il “falso salvataggio” (inaugurato da Non aprite quella porta e ripreso anche da Monroe nel remake). Ottima la sceneggiatura, la quale unisce a tutto questo anche la sotto-trama del prete e del poliziotto: che, se inizialmente può sembrare un corollario, si rivela invece importante per il finale. Degne di nota, infine, anche la fotografia e le ambientazioni, da una New York grigia e livida alla tipica cittadina bulgara, fino alla squallida cantina degli orrori e ai cupi sotterranei.
httpvh://youtu.be/b39OxbSI2CQ
About Davide Comotti
Davide Comotti. Bergamasco, classe 1985, dimostra interesse per il cinema fin da piccolo. Nel 2004, si iscrive al corso di laurea in Scienze Umanistiche dell’Università degli Studi di Bergamo (laurea che conseguirà nel 2008): durante gli studi universitari, ha modo di approfondire la sua passione tramite esami di storia, critica e tecniche del cinema e laboratori di critica e regia cinematografica.
Diventa cultore sia del cinema d’autore (Antonioni, Visconti, Damiani, Herzog), sia soprattutto del cinema di genere italiano (Fulci, Corbucci, Di Leo, Lenzi, Sollima, solo per citare i principali) e del cinema indipendente di Roger A. Fratter.
Appassionato e studioso di film horror, thriller, polizieschi e western (soprattutto italiani), si occupa inoltre dell’analisi di film rari e di problemi legati alla tradizione e alle differenti versioni di tali film.
Nel 2010, ha collaborato alla nona edizione del Festival Internazionale del Cinema d’Arte di Bergamo.
Scrive su "La Rivista Eterea" (larivistaeterea.wordpress.com), ciaocinema.it, lascatoladelleidee.it. Ha curato la rubrica cinematografica della rivista Bergamo Up e del sito di Bergamo Magazine. Ha scritto inoltre alcuni articoli sui siti sognihorror.com e nocturno.it.
Ha scritto due libri: Un regista amico dei filmakers. Il cinema e le donne di Roger A. Fratter (edizioni Il Foglio Letterario) e, insieme a Vittorio Salerno, Professione regista e scrittore (edizioni BookSprint).
Contatto: davidecomotti85@gmail.com
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