Zarantonello esplora le tenebre di una maternità psicotica con un cast ricercato e glorioso.
Cosa unisce Barbara Steele, Heather Langenkamp, Ray Wise, Erica Leerhsen, Camille Keaton, Adrienne King e P.J. Soles? L’horror, risposta ovvia. Ma ce n’è una più specifica: Gionata o, com’è più conosciuto, Jonathan Zarantonello. Regista e sceneggiatore vicentino, Zarantonello sembrerebbe, insieme a Zampaglione, la soluzione all’apparente morte dell’horror e del thriller italiano.
Una zeta rosso sangue intagliata sulla lapide di generi in cui il nostro Bel Paese era maestro, e in cui forse può esserlo di nuovo. Che sia o meno la risposta al dilemma, non si possono negare l’intraprendenza e il coraggio che il regista ha messo in scena per The Butterfly Room.
L’anziana e severa Ann vive una vita solitaria, impegnata e ossessionata dalla sua particolare passione per le farfalle. La donna uccide gli insetti, per poi imbalsamarli e conservarli con cura in una stanza apposita, chiamata appunto “la stanza delle farfalle”. Ma mentre Ann si occupa della piccola Julia, figlia della vicina di casa fuori per il weekend, la bimba si convince che nella stanza ci sia qualcos’altro, oltre ai lepidotteri: una bambina di nome Alice che non riesce mai a vedere o sentire. Alice e Julia risvegliano qualcosa di sinistro e inquietante nell’anziana donna e solo la sua vera figlia, Dorothy, si rende conto del pericolo e decide di affrontare un passato traumatico per far sì che un nuovo dramma non si ripeta.
Se la trama non vi è nuova, le ragioni possono essere due: avete letto Alice dalle 4 alle 5 oppure avete visto il corto omonimo, ispirato al racconto, ed entrambi a opera di Zarantonello, che li ha uniti in questo lungometraggio teso, angoscioso, ben scritto anche se non sempre ottimamente girato. Tuttavia, se poco sopra parlavo di intraprendenza e coraggio un motivo c’è, e risulta davvero lampante in tutti gli 87 minuti del film. Portare avanti per anni un’idea in cui si crede, dalla carta stampata al cortometraggio e infine al grande schermo, e riuscire a produrre un film riunendo vecchie glorie dell’horror italiano e internazionale, ebbene questo è ciò che dovrebbe tornare a essere il nostro cinema, prima ancora che il nostro cinema di genere: impegno, passione, audacia e intelligenza. Doti che Jonathan possiede e mette a frutto qui, in una stanza colorata da farfalle variopinte e dove il gioco tra vittima e carnefice mischia continuamente i ruoli in un incubo psicanalitico.
Non ci sono sbavature nella sua storia e a dominare la scena è sempre lei, la meravigliosa Barbara Steele, icona leggendaria di un cinema mitico, da Mario Bava a Roger Corman, da Antonio Margheriti a Mario Monicelli, passando per quel capolavoro che è l’ 8½ del Maestro Fellini. È lei la mattatrice, inquieta e inquietante, che con i suoi 76 anni sembra ancora pronta a gridare come l’horror sia fondamentalmente legato alla figura femminile, e non solamente per quanto riguarda sensualità, sessualità o per essere vittima perfetta dell’antagonista di turno, ma anche e soprattutto perché le donne possono essere carnefici più spietate e spaventose degli uomini. E ne La Stanza delle Farfalle sono loro a fare il bello e il cattivo tempo, quasi Zarantonello avesse voluto omaggiare e dare nuovo lustro alle “Scream Queens” che ci hanno attratto nel corso degli anni al cinema di genere, come falene alla luce. O farfalle ai fiori.
Le donne di Butterfly Room sono molte, sfaccettate e assolutamente inserite alla perfezione nella narrazione, in modo che nessuna, anche se compare per poco tempo, sia fuori luogo. E questo è possibile grazie al realismo che si è voluto infondere nella storia, dove non ci sono risvolti soprannaturali, mostri o simili, bensì qualcosa che mette più paura, poiché reale. La psicosi portata all’estremo, l’esplosione della violenza che abita nei recessi oscuri di una mente umana malata, sebbene ancora capace di provare amore, ma nella forma più possessiva e ossessiva, la maternità contorta e castrante. L’introspezione psicologica e il realismo, queste sono le armi vincenti di un thriller capace di sfociare nell’horror conturbante con accenni slasher, e capace di richiamare alla mente, senza essere citazionistico, registi del calibro di Jonathan Demme e Dario Argento, e uno scrittore quale Stephen King, uno dei pochi, come la Rowling in termini meno orrorifici, a dimostrare che bambini e ragazzi sanno e possono affrontare paura e orrore. A volte meglio degli adulti.
Dopo tutto questo, Butterfly Room parrebbe perfetto. E avrebbe potuto anche esserlo se la regia, ma soprattutto il montaggio di Zarantonello non risultassero spesso caotici. Durante la narrazione i flashback si alternano al tempo presente, ma lo fanno in un modo tale che causa difficoltà a comprendere quale fascia temporale stiamo guardando e se non fosse per un’attrice in particolare, che troviamo solo nel passato, il caos sarebbe ancora maggiore. Questo disordine però non comporta un calo di tensione e non rovina la visione. Se poi aggiungiamo tutti i nomi che ho citato all’inizio, ci si mette pure la curiosità di vedere quale viso conosciuta sbucherà nella prossima scena, e vi assicuro che si viaggia in più di quarant’anni di cinema horror: Barbara Steel (La Maschera del Demonio, Il Pozzo e il Pendolo, Danza Macabra, solo per dirne alcuni), Ray Wise (Fuoco cammina con me, Twin Peaks), Camille Keaton (Non Violentate Jennifer), Adrianne King (Venerdì 13, Venerdì 13 parte II), Heather Langenkamp (Nightmare, Nightmare 3, Nightmare: nuovo incubo), Erica Leerhsen (Non aprite quella Porta, Wrong Turn 2), senza dimenticare un cameo del grande Joe Dante.
Questo non è un ritorno agli anni ’70 e ’80, né una sterile parata di glorie passate rispolverate per citazionismo o voglia di catturare un pubblico maggiore. Potrebbe essere, condizionale d’obbligo, un nuovo inizio e se questa è la premessa di Zarantonello, mi azzardo a dire che la sua Z colpirà ancora.
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