La terza opera di Zampaglione è un omaggio sincero al thriller italiano anni 70.
Lisa è assidua frequentatrice del famigerato club “Tulpa” un posto molto esclusivo in cui i soci realizzano le loro fantasie erotiche. Quando i suoi amanti iniziano a morire uno dopo l’altro, tra orribili supplizi, per evitare uno scandalo la donna comincia a indagare in prima persona, con conseguenze da incubo.
Si potrebbe scrivere tutto il male o il bene del mondo su Tulpa, senza per altro sbagliare. Si perchè il nuovo film di Federico Zampaglione, conosciuto al mondo per la sua musica e purtroppo poco per la sua passione per il cinema del terrore, è un’opera strana, elegante, ma anche fortemente sbilanciata. E’ una di quelle pellicole che vedi e alla fine non ti soddisfa del tutto perchè qualcosa stona, perchè la sceneggiatura non è perfetta, perchè gli attori vanno molte volte allo sbando nel cagnesco, ma poi ci pensi, accarezzi la sua idea e dimentichi le cose imperfette a favore di quelle belle col rischio (legittimo) che la sua rozzezza faccia parte (anche) del suo fascino.
Tulpa è un giallo come non se ne fanno più e probabilmente non se ne sono fatti mai: ha la parvenza di uno spettacolo grindhouse, a partire dalle luci sparate fino agli omicidi violentissimi, ma è ben distante dallo sterile omaggio tarantiniano. Certo al suo interno vivono umori di un cinema che fu, ma è opera per fortuna concettualmente diversa, quasi steampunk nella sua essenza: Zampaglione rielabora non solo il thriller anni 70, ma tutto il nostro cinema di genere, dall’erotico all’horror, con un approccio così moderno e personale che non trova riscontri nel passato. Tulpa può ricordare, a grandi linee, il recente Amer dei francesi Hélène Cattet e Bruno Forzani, ma l’approccio è agli antipodi: nel film di Zampaglione manca la presunzione di essere sopra le parti, di essere materia solo per iniziati massonici, si parla con la stessa umiltà ad ogni tipo di spettatore, dall’appassionato al critico. Che poi Tulpa sia un film a più strati di comprensione, che fin dal titolo ha ambizioni alte, è un altro paio di maniche, ma riesce comunque ad affrontare ogni tema, dal più pateale al meno fruibile, con l’idea bellissima e dimenticata di uno spettacolo a misura d’uomo, popolare ma con un’anima, lo stesso che ha ospitato i vari Sergio Martino e Giuliano Carmineo, che ha dato i natali agli horror di Lucio Fulci e i polar di Fernando Di Leo. Tulpa è un film poi molto divertente che regala almeno una scena di culto: l’inseguimento tra Claudia Gerini e un transessuale armato di katana nei labirintici corridoi di un club per scambisti. L’appassionato risulta sicuramente appagato grazie ad omicidi cruentissimi, con un approccio così sadico alla materia che non può non ricordare Lo squartatore di New York fulciano. Tulpa è un film che muta, si contorce su se stesso, assume più volti e forme: passa dal giallo martiniano all’horror argentiano senza ciglio battere, si colora con il glamour hi tech delle produzioni erotiche massaccesiane anni 90 tipo La signora di Wall street per poi parlarci di karma e reincarnazioni, osa girare una doccia assolutamente gratuita come si faceva negli anni 70 e fa del clichè un vero vanto.
Ogni volta che pensi di avere compreso la strada di genere che vuole prendere ecco che che questa devia: non è un erotico anche se ha scene spinte e lato B della Gerini mostrato generosamente come in un’opera d’arte brassiana, è sicuramente un thriller ma non così vintage come lo si penserebbe, non è un horror anche se ne ha gli umori. La storia (alla quale ha collaborato Dardano Sacchetti) ha più di un debito con Inferno di Dario Argento con i topi assassini e le librerie alchemiche, ma anche l’idea di una morte concretizzata in un assassino da giallo. Tulpa non convince quando si prende troppo sul serio, quando introduce il contorno moderno di crisi finanziaria e butta alle ortiche Michele Pacido in un incredibile ruolo fuori parte, ma è innegabile che questi eccessi in negativo più che svilire l’opera la avvicinano a quel cinema dimenticato e rimpianto che sta omaggiando. Certo che se ci si approccia a Tulpa con fare snob e preconcettuale, con l’idea che il presente non equivarrà mai il passato, si può tranquillamente evitare la visione, ma è lo stesso atteggiamento con il quale la critica si divertiva a massacrare i nostri film di genere, sempre e comunque. Tanto vale allora che vincano loro, le fiction o le commedie regionali, i produttori che non sborsano un soldo per horror che mai nessuno vedrà, i francesi o gli spagnoli meglio di noi. Che schifo però.
About Andrea Lanza
Si fanno molte ipotesi sulla sua genesi, tutte comunque deliranti. Quel che è certo è che ama l’horror e vive di horror, anche se molte volte ad affascinarlo sono le produzioni più becere. “Esteta del miserabile cinematografico” si autodefinisce, ma la realtà è che è sensibile a tette e sangue.