Da Lynch ai Sassi di Matera. Viaggio a ritroso nella mente umana tra vertigini sonore e raffinata fotografia. Citazionismo di lusso in salsa italiana anni ’70.
C’è un film in giro. Si intitola Berberian Sound Studio. Titolo buono anche per un album sperimentale di rock progressive. C’è Toby Jones, con quella faccia e quella fisionomia da vicino di casa taciturno, che in ascensore non parla e tiene sempre lo sguardo basso. Al limite accenna uno stentato ‘’giorno!’ quando proprio è inevitabile. Quel vicino che ha qualcosa da nascondere.
C’è anche il bel Cosimo Fusco, lucano di pietra, con frequentazioni nel cinema che conta, quello che fa scorrere i quattrini e i chilometri di pellicola e le star. Quelle vere, a sei zeri. C’è anche Peter Strickland, regista quarantenne della contea sud-orientale del Berckshire solo quattro pellicole al suo attivo, di cui due corti e un film vero. Con questo suo ultimo invece conferma l’eccezione alla regola che nessuno è profeta in patria e vince il British Indipendent Film Award: miglior attore (il controverso Jones), miglior regia, miglior suono e miglior produzione. Ammesso anche al raffinatissimo New York Film Festival. Già di per sé è un riconoscimento. Le aspettative sono alte, altissime. Subito, dal trailer si annusano atmosfere importanti. Hitchcock (!), Lynch e Polanski parlando di tre a caso. Inquadrarlo come un semplice orror sarebbe semplicistico, visti i padri ispiratori. Per usare una battuta del film: – This is not an horror film […] don’t call my film horror again!
Si intuisce dalle prime immagini e dagli scatti di scena che Strickland ha fatto una grande ricerca sull’immagine, e con perizia filologica sulle atmosfere del cinema di genere italiano anni settanta. Il regista Santini (interpretato da Fusco) è lo stereotipo del machismo sboccato e trasbordante dell’Italia del boom economico, con il collettone ad aliante e la camicia aperta sul petto villoso. La trama è questa: 1976, una produzione italiana di orror low budget si rivolge al Berberian Sound Studio perché si occupi di creare e mixare i suoni dell’ultima opera del ‘maestro’ Giancarlo Santini. Il tecnico del suono Gilderoy, esperto ma digiuno di quel particolare cinema, lascia l’Inghilterra per occuparsi della post produzione e suo malgrado si trova coinvolto in un vortice di delirio prima professionale, poi personale e psicologico. Il film si svolge tutto in interni, quasi esclusivamente nella sala di montaggio. Forse vi ricorda qualcosa? In un attimo il labile confine tra realtà e finzione viene superato e il povero Gilderoy strapazzato da immagini, ma soprattutto suoni che sembrano non appartenere ad una dimensione terrena ma a quella di puro terrore. Un panico più suggerito che non mostrato, per un film che ha grandi aspettative quantomeno per spavalderia di citazione e per lo spunto narrativo. Una proposta che, nel marasma di produzioni urlate, entra in punta di piedi e promette di far provare brividi con stile. Il suono fa la sua parte evitando, pare, il facile escamotage del ‘boo!’ a mille decibel che fa sobbalzare gratuitamente lo spettatore sonnacchioso sulla sedia della sala. Nota di colore: l’inglese maccheronico dei protagonisti italiani. Realtà o finzione? Il dubbio rimane. Un motivo in più per dedicare novantadue minuti a questa pellicola piena di speranza per il futuro e carica di regali dal passato. Guardate il trailer e sarà inevitabile cercare il film. E poi comprare la colonna sonora su cd. Disponibile anche su ITunes.
httpv://www.youtube.com/watch?v=GlNCiGVQsd0
About Alex Deplano
Alex è un quasi quarantenne nel corpo di un adolescente inquieto. Fa il pubblicitario per vivere e scrive. Pensa sempre al prossimo stimolo da catturare. Appassionato di viaggi e di cinema, vive tra Cagliari (la sua città natale) e New York dove è stato trascinato da suo grande amore: Miro. Ha scritto (e disegnato) per i fumetti, per la radio, la tv, per il cinema e la pubblicità. Horror.it è la sua ultima passione.