Per questo secondo capitolo Barker e il co-sceneggiatore Rae Brunton hanno parzialmente corretto il tiro strutturale dell’opera.
Il bunker segreto che è costato la vita alla banda di mercenari protagonista del primo Outpost e custode del più terrificante segreto della Seconda Guerra Mondiale – una guarnigione di soldati nazisti zombie resi immortali e invincibili dalla realizzazione della teoria fisica del campo unificato – è diventato di dominio della NATO, i cui tentativi di trovare una soluzione alla continua espansione del raggio d’azione dell’esercito di zombie falliscono sistematicamente.
Toccherà a Lena e Wallace, giovane investigatrice impegnata in una personale caccia agli ultimi gerarchi nazisti ancora in vita la prima, ingegnere sulle tracce dei segreti dei nazisti il secondo, trovare una soluzione a quella che potrebbe essere l’ascesa di un invincibile Quarto Reich, sostenuti oltre le linee nemiche da un ristretto ma determinato manipolo di soldati NATO.
Prodotto con un risicato budget di 200 mila dollari – raccolti dalla coppia di produttori grazie a un’ipoteca sulla propria casa -, il primo Outpost (2007) rappresentò per il panorama horror un piccolo grande esempio di come anche nel secondo millennio si potesse fare del valido cinema di genere pur con un pretesto narrativo tutt’altro che innovativo – Richard Raaphorst e il suo mai concluso Worst Case Scenario tenevano banco da tempo – ma con professionalità, una solida preparazione tecnica e una manciata di idee azzeccate; certo nulla di epocale, ma senza ombra di dubbio una pellicola seria e onesta capace di meritarsi un’oretta e mezza del nostro disimpegno. Il discreto successo dell’home video americano prima e della distribuzione nelle sale inglesi poi convinsero e consentirono alla produzione e al regista/sceneggiatore Steve Barker di mettere in cantiere un sequel, che con grande praticità avrebbe potuto narrare i fatti immediatamente successivi a quanto narrato nel primo Outpost senza bisogno di particolari artifici narrativi.
Consci che la ripetizione pedissequa delle limitate dinamiche del primo capitolo non avrebbero giovato e che, anzi, la creazione di una continuità più orizzontale avrebbe aperto la porta a eventuali, ulteriori sequel, Barker e il co-sceneggiatore Rae Brunton per questo secondo capitolo hanno parzialmente corretto il tiro strutturale dell’opera, andando a mitigare la componente horror/action a tutto testosterone che aveva dominato incontrastata in Outpost ingentilendo il cast con la co-protagonista Lena (la Catherine Steadman de I Tudors), decisamente più portata all’inchiesta sul campo che allo scontro faccia a faccia con orde di soldati nazisti zombificati: buona parte della prima meta di Black Sun infatti gode di un respiro maggiore rispetto a quanto ci si sarebbe aspettato, finalizzata com’è ad allargare il range narrativo dell’opera inserendo e approfondendo il ruolo di personaggi-chiave – i dottori Klausener e Francis Hunt – in modo da preparare una seconda parte decisamente più dinamica e thrilling dove l’intenzione sarebbe quella di raccogliere quanto seminato.
Il vero problema di Outpost: Black Sun è che l’esile e agile costruzione che rendeva leggera e godibile la formula del suo predecessore ora inizia a scricchiolare da più parti, caricata com’è proprio da un intrico narrativo confusionario e poco avvincente che poco si integra con la formula originaria, appesantendola inutilmente. L’idea di gettare le basi per una saga, o più banalmente un franchise codificato, finisce così per snaturare lo spirito dell’intero progetto: se a ciò aggiungiamo un’evidente carenza di soluzioni valide – con un paio di sconfinamenti nel grottesco e nel vero e proprio non sense – tutta la seconda metà della pellicola zoppica vistosamente, sospesa a metà tra un’inevitabile deriva survival e il disvelamento progressivo di un pasticcio narrativo la cui unica finalità si rivelerà essere quella di aprire la strada a un ulteriore sequel. La scelta di ambientare la resa dei conti in un contesto sotterraneo poi, priva Black Sun della felice e particolare scelta scenografica che accompagnava l’arrivo dei soldati nelle zone boschive che circondavano il bunker, le cui sagome confuse, stagliate su di un orizzonte illuminato a giorno, erano capaci di creare un originale ed efficacissimo senso d’oppressione e minaccia. E’ questo forse che più manca a Black Sun: quella personalità intrisa di sostanza e senso pratico che aveva reso discretamente piacevole il suo predecessore, sacrificata in favore di qualcosa che ha decisamente più a che vedere con precisi calcoli produttivi che con la pura qualità del prodotto.
About Andrea Avvenengo
E’ nato nel terrore spiando Twin Peaks alla TV. Il tempo ha messo in fila passioni su passioni, raffinando (o imbarbarendo?) i gusti, ma senza mai scalfire la capacità del cinema fantastico di scaraventarmi indietro nel tempo, la mani davanti agli occhi, terrorizzato e fottutamente felice.