Noir. Istruzioni per l’uso è un saggio atipico sul giallo e i suoi grandi protagonisti, firmato per Garzanti dal super esperto Luca Crovi. Uno che ha visto da vicino Ellroy e Larsson, ed è sopravvissuto per raccontarlo.
Il senso di Luca Crovi per il giallo, fatto di enciclopedico sapere e istinto passionale, è di quelli che non si possono “ricreare” a tavolino. Noir. Istruzioni per l’uso, pubblicato da Garzanti, è la summa di anni di letture fameliche, documentazioni certosine e travolgenti incontri faccia a faccia. Un meta-saggio punteggiato da una miriade di indagini e interviste, non solo numerose, ma anche approfondite, alcune delle quali sono perle preziose da custodire con cura nel proprio tesoretto del thriller-addicted.
Il volume è un mix dove il talento per la divulgazione e la divagazione aneddotica si intrecciano a fornire al lettore innumerevoli piste, alcune oscure e tortuose, altre più larghe e battute, attraverso la megalopoli della fiction gialla. Tra romanzi di genere e serial televisivi, autori di bestseller e talenti obliati, Crovi (nella foto a destra), non per niente voce per nove anni della trasmissione di Radiodue Tutti i colori del giallo, snocciola segreti del mestiere e chicche biografiche che riescono a gettare una luce nuova anche sui nomi più popolari. C’è il debole di Agatha Christie per gli albergacci e il malcelato odio di Conan Doyle per il suo Sherlock Holmes. Si mettono a nudo ossessioni e poetiche di giganti del noir, Raymond Chandler come Giorgio Scerbanenco, attraverso la loro voce, la testimonianze di persone che ne condivisero l’arte e la vita e, ovviamente, la mediazione dell’autore, capace di utilizzare la chiave multipla dello scrittore, del critico, dello sceneggiatore.
Cosa si può chiedere a chi ha intervistato Michael Connelly, Ken Follett, Jeffery Deaver, William Gibson, Patricia Cornwell, Kathy Reichs, Anne Rice, Michael Crichton, Wilbur Smith, Joe R. Lansdale, Jo Nesbø, Nick Hornby e tanti altri?
Noi ci abbiamo provato…
La tua si direbbe una vita in noir, come hai contratto la “febbre gialla”?
Diciamo che ho cominciato ad ammalarmi leggendo Stevenson e Poe. Dopodiché la scoperta di autori come Conan Doyle e Agatha Christie mi ha portato a leggere con frequenza storie di mistero. Lo scrittore che poi mi ha letteralmente sconvolto la vita di lettore è stato Giorgio Scerbanenco, scoperto per caso nella biblioteca di mio padre al mare. I suoi racconti di Milano Calibro 9 mi folgorarono a tal punto da cercare tutte le sue storie e mi spinsero a leggere autori che come lui scandagliavano l’anima nera dell’Italia.
Dai tempi di Andrè Heléna a quelli di Stieg Larsson il mercato sceglie i suoi beniamini tra i più vendibili e condanna all’oscurità autori straordinari. Come è cambiata, se è cambiata, la macchina editoriale di genere e del noir in particolare?
Oggi in realtà i lettori hanno più possibilità di ripescare romanzi e autori rispetto al passato. Hanno forti comunity in internet che scavalcano i puri lanci del mercato dei bestseller editoriale. Ci sono scrittori che magari ci impiegano di più ad arrivare al grande successo ma quando lo ottengono riescono a mantenerlo meglio di altri. Oggi è più facile pubblicare un noir rispetto a una volta anche perché gli editori si sono accorti che è un genere che piace molto ai lettori. Credo che ci sia più scelta. Nel mio libro cito una frase di Chandler che credo sia esemplare a questo proposito. «Sono d’accordo sul fatto che troppi noir sono mediocri», scrisse Raymond Chandler in una lettera alla scrittrice Hillary Waugh nell’ottobre del 1955, «ma lo sono anche troppi libri di qualunque altro genere, secondo gli stessi parametri. E non accetterò mai l’assunto per cui a scrivere i noir sono gli scribacchini. Il peggiore di noi dà il sangue a ogni capitolo. Il migliore parte da zero a ogni nuovo libro. Gli scribacchini sono quelli che fanno con facilità cose che sanno che vale la pena fare e che le fanno per soldi. Nessuno scrittore di noir che ho conosciuto ha mai pensato che quello che stava facendo non valesse la pena; sperava solo di farlo al meglio.» C’è molto di vero in quello che il «papà di Marlowe» sostiene in queste frasi e vi confermo il grande coraggio intellettuale che ho sempre trovato nei noiristi che ho intervistato negli anni. Coraggio che i lettori sanno riconoscere.
Nel libro ritorna molto spesso il tema delle trasposizioni cinematografiche, potresti farci un esempio particolarmente riuscito di traduzione di un romanzo sul grande schermo? (E, magari, anche uno particolarmente “dimenticabile”….)
Beh sicuramente sia Psycho di Alfred Hitchcock che Il Silenzio degli Innocenti di Jonathan Demme sono dei film incredibilmente infedeli alle opere originarie da cui sono tratti, eppure sono due pellicole visionarie con una grande anima e una grande originalità. Prendete L. A. Confindential di Curtis Hanson, la sceneggiatura di Brian Helgeland è diversissima dal romanzo di James Ellroy ma il film che ne è venuto fuori è indimenticabile. Potrei dirti lo stesso anche delle pellicole che Fernando Di Leo ha tratto dalle opere di Giorgio Scerbanenco, dilatando spunti, situazioni e personaggi. Per quanto riguarda invece due film che sono una vera e propria delusione rispetto agli originali romanzi che li hanno ispirati ti citerei Shutter Island di Martin Scorsese e Le belve di Oliver Stone. Ci sono poi a volte registi che in certi film hanno un tocco magico nell’adattamento di certe pellicole e falliscono invece in altre come ad esempio Clint Eastwood ottenuto in Debito di sangue e con Mystic River. Sulla carta entrambi i film potevano avere la stessa poesia, ma quello tratto da Dennis Lehane ha davvero un altro cuore.
Dall’epifania di Thomas Bishop nel 1979 il serial killer ha fatto molta strada, installandosi nell’immaginario collettivo a pieno diritto. Persino nei cartoni per bambini si rende omaggio a personaggi come Hannibal Lecter. Cosa ha perso e cosa ha guadagnato con tanta popolarità la figura dell’assassino seriale?
A trasformare in vere e proprie star i serial killer americani sono stati personaggi come il Norman Bates di Psycho, l’Hannibal Lecter de Il Silenzio degli Innocenti, il Freddy Krueguer di Nightmare, il Dexter dell’omonima serie televisiva che sono entrati a far parte dell’immaginario comune come se fossero dei moderni orchi. Personaggi che potrebbero vivere davvero nella nostra porta accanto. Ma che contenuti fra le pagine dei romanzi o in certe pellicole, ci rassicurano perché sembrano creature del tutto inventate, sono dei nuovi Babau. Come ci ricorda Stephen King: «Una storia come quella di Psycho riporta il mito dell’Orco a una dimensione quotidiana. Sappiamo che il suo eroe prende l’aspetto del Lupo cattivo solo quando si traveste, ma non possiamo fare a meno di sospettare – con orrore – che in fondo al cuore egli sia stato un mostro tutto il tempo». Eppure quando per la prima volta un reale serial killer come Ed Gein venne scoperto nel Wisconsin la risposta della comunità fu tutt’altro che tranquillizzante, come raccontava Clive Barker in un lungo documentario della BBC dedicato a quei fatti di sangue: «La gente solo allora si rese conto che non ci si poteva fidare del vicino di casa che il pericolo si poteva annidare a due passi da casa propria. Certe cose accadevano, tutti avevano visto i film di Frankenstein e di Dracula ma quello era un mondo fantastico, questo invece era il nostro mondo. Era l’America delle città di provincia, dove queste cose non succedevano».
Robert Crais ha dichiarato di seguire, nel suo lavoro di sceneggiatore, l’etica di Miami Vice, fatta di velocità, ritmo, ambientazione, uso sapiente della colonna sonora. Qual è la tua “ricetta” per un buon giallo televisivo?
Direi che quella di Robert Craisè perfetta. Anche guardando serial francesi come Braquo o i recenti Bates Motel e Hannibal mi sembra che quelle regole di base, abbinate a un’ottima scelta degli attori e a una sceneggiatura di ferro funzionino davvero.
Nel tuo atipico saggio ci sono interessanti incursioni nella produzione indiana, cinese, algerina, nordeuropea. Un giudizio sullo spaghetti noir di oggi?
Diciamo che lo spaghetti noir ha imparato è diventato sia saporito che inconfondibile nel tempo. Ha la pasta giusta e il condimento giusto, dove il peperoncino della suspense non manca mai.
Esistono innumerevoli teorie per la costruzione di un poliziesco perfetto, un’intera manualistica per divenire un giallista provetto. Un vademecum, invece, per essere un buon lettore di noir e thriller?
Io sono un sostenitore della teoria dell’assaggio in libreria. Prendo sempre in mano i titoli che mi incuriosiscono, ne esploro le copertine e i testi di presentazione. Sbircio il primo capitolo e se mi acchiappa compro il volume. Mi è capitato raramente di restare fregato e credo che l’assaggio preventivo aiuti sempre a capire cosa si sta per leggere.
Se potessi scegliere un romanzo giallo in cui vivere, un personaggio da incarnare, una città violenta da abitare? Io, nel mio picco, ho sempre desiderato di essere staff della Pinkerton Agency nei ruggenti anni ’40 del 900….
Onestamente non vorrei vivere in nessuno di quei romanzi. Sinceramente preferirei essere sull’Hispaniola a fianco di Jim Hawkins ne L’Isola del Tesoro.
Il diavolo – dicono – è nei dettagli. La lettura di Noir – Istruzioni per l’uso offre una montagna di spunti e suggestioni sia per l’appassionato del genere che per il neofita. Eppure sono due piccolezze ad avermi levato il sonno. Il legame tra Lisbeth Salander e Pippilotta Viktualia Rullgardina Calzelunghe (che lasceremo scoprire al lettore) e l’autore di bestseller dietro cui si sarebbe celato Shane Stevens. Un indizio? Una pista da seguire?
Sulla storia di Pippi Calzelunghe e Lisbeth Salander credo di avere tolto per sempre il velo ai lettori rispetto a certi eventi raccontati nella saga Millennium, ma in realtà non ho fatto altro che citare loro l’unica intervista concessa prima di morire da Larsson stesso. Intervista che trovo indispensabile per chi voglia capire il suo lavoro. Su Shane Stevens posso dirti che non ho indizi particolari, mi sono divertito invece a svelare chi era Trevanian (autore de L’assassinio sull’Eiger e Shibumi –ndr) nelle settimane scorse e se uscirà una riedizione del mio saggio sicuramente inserirò questa curiosità su di lui nel volume.
About SelenePascarella
Selene Pascarella è nata a Taranto nel 1977. Si è laureata alla Sapienza di Roma 23 anni dopo, con un tesi dedicata a Mario Bava, Lucio Fulci e i maestri dello spaghetti horror dal titolo "Estetiche di morte nel cinema dell'orrore e del fantastico".
Giornalista per professione e per vocazione si occupa di cinema, tv, narrativa di genere e cronaca nera. Nel 2011 ha pubblicato, assieme a Danilo Arona e Giuliano Santoro, il saggio "L'alba degli zombie. Voci dall'apocalisse: il cinema di George Romero" (Gragoyle). Tra il 2012 e il 2013, Maya permettendo, ha curato il format 2.0 DiarioZ_Italia per Multiplayer.it.
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