Onesto remake che pecca di eccessiva freddezza.
Un folle assassino che semina il terrore nelle notti buie di una caotica New York. Il suo nome è Frank Zito, apparentemente un uomo come tanti, che però dopo il tramonto si prepara a uscire per adescare le sue vittime, prevalentemente prostitute o coppie di fidanzatini. Frank non si accontenta del semplice gesto omicida, ma esegue truci scalpi sulle vittime con cui poi addobba i macabri manichini sparsi nel suo rifugio.
In epoca non sospetta di rivalutazione critica, noi di horror.it non avevamo parlato malissimo di P2 – livello di terrore, opera prima di Franck Khalfoun, amico intimo e socio di Alexander Aja. Forse è stato proprio il nome di Aja ad accendere in maniera spropositata le aspettative del pubblico per un thriller di certo non originale, ma tutto sommato gradevole, imparagonabile certo alla rivoluzione francese di Alta tensione, eppure piacevolissimo. L’opera seconda del regista, Wrong turn at Tahoa, estranea al genere horror, era poi ancora migliore: un piccolo noir dai dialoghi ottimamente scritti e dall’andamento di tragedia shakesperiana plumbea e disperata.
Con Maniac, remake del cult movie anni 80, Franck Khalfoun compie un ulteriore passo di rivalutazione critica girando un film che ha fatto esaltare un po’ tutti i critici e che ha fatto dimenticare i pregiudizi conquistati con la sua opera prima. Alexander Aja e il suo sceneggiatore di fiducia Grégory Levasseur si lanciano nel lavoro di riattualizzazione del vecchio plot, stando bene attenti a non scontentare comunque il folto stuolo di fan che Maniac si è conquistato negli anni. Se mancano alcune scene clou come l’omicidio a colpi di fucili alla coppietta interpretata allora dall’effettista Tom Savini e Hyla Marrow, il film calca la mano sul gore molto più che nell’originale senza paura di essere scorretto o oggetto di censura. Ne esce un film visivamente interessante, girato in una soggettiva anomala al cinema (si ricorda soltanto nel genere thriller/horror l’Alone di Phil Claydon), pieno di scorrettezze sessuali (gli amplessi davanti al killer bambino) e di eccessi violenti (gli scalpamenti crudeli e sanguinosi), ma che alla fine lascia un po’ il tempo che trova, troppo perfettino, troppo freddo anche solo per emozionare. Prendiamo per esempio l’analoga scena di delitto nei confronti di una ballerina nel film nuovo e di un’infermiera nell’originale: stessa ambientazione, stessa idea di claustrofobia, ma solo nella pellicola di William Lusting si prova un senso di disagio e di terrore, qui, anche nella risoluzione con delitto più cafonamente spettacolare, si assiste senza esserne coinvolti. Lo stesso accade anche nel delirante finale a base di manichini zombi, girato con inquadrature molto simili eppure mancante di quell’angoscia che ti dava il vecchio Maniac.
Non è un problema di protagonisti: Joe Spinell era insostituibile, mellifluo, viscido, inquietante, di questo se ne devono essere accorti pure regista e sceneggiatori, da qui la scelta di non inquadrare quasi mai in volto la star Eliah Wood. Il problema sta nell’operazione che non ha il coraggio di prendere strade nuove che non siamo quelle visive, non basta d’altronde il cambiamento del look estetico del killer, un tempo uomo brutto ora ragazzo bello, o di quello caratteriale, molto più introverso nel remake, per mettere in atto una rivoluzione remake come ai tempi de La cosa o di L’alba dei morti viventi. In più se la prima parte è ottima anche a livello narrativo, la seconda, che si discosta un po’ dai binari dell’originale, è estremamente sciatta e sensazionalistica, con personaggi che fanno cose stupide e muoiono in modo cretino. Il Maniac originale restava sui toni tenui del documentaristico con la macchina da presa attaccata alle azioni del killer e alla sua quotidianità senza mai sbroccare nel film da grande masse pur in un epilogo frastornante e delirante. Divertono però le citazioni come far dire alla ragazza rimorchiata in chat “Ti credevo diverso, più grasso e coi capelli lughi, neri e unti” intendendo Joe Spinell o il primo omicidio che ripete fedelmente la locandina del Maniac anni 80 (coltello in un mano e scalpo nell’altra). Gli attori comunque sono ottimi, a cominciare dall’invisibile Eliah Wood che riesce a tenere la scena solo con la tonalità della voce fino alle molteplici vittime del killer con un plauso per l’intensa Nora Arnezeder. Maniac nuovo non è un’operazione da disprezzare, ma, come tanti remake, risulta alla fine inutile e incapace di appassionare se conosci già la materia che si ripromette di rielaborare.
httpvh://www.youtube.com/watch?v=BPdzB1oGifw
About Andrea Lanza
Si fanno molte ipotesi sulla sua genesi, tutte comunque deliranti. Quel che è certo è che ama l’horror e vive di horror, anche se molte volte ad affascinarlo sono le produzioni più becere. “Esteta del miserabile cinematografico” si autodefinisce, ma la realtà è che è sensibile a tette e sangue.